Quest’anno la settimana della lingua italiana è dedicata al rapporto dell’italiano con la musica. E’ il momento giusto per presentare Cantami o dj di Matteo De Benedittis, docente di liceo, che insegna letteratura e lingua italiana attraverso la musica.
Ligabue, Bersani, Battiato, Jovanotti, Elio e le storie tese. Cosa hanno a che fare le canzoni con l’italiano che si studia a scuola?
L’italiano che si fa a scuola è in gran parte poetico. La scuola è forse l’unico luogo in cui i ragazzi incontrano la poesia, e le canzoni sono scritte con gli stessi strumenti delle poesie. Cioè con la lingua delle emozioni. Per trasmettere i pensieri esiste la prosa, per trasmettere le emozioni esiste la poesia. Quindi, quando si inizia ad imparare ad usare la poesia, verso la seconda superiore, le canzoni si possono usare con molta utilità. Quando diamo spazio alle emozioni, tutti usiamo il linguaggio della poesia: anche gli insulti o le dichiarazioni d’amore non sono altro metafore. Poi qualcuno sarà un grande poeta, e molti altri resteranno poeti normali, quotidiani. Funziona come per la corsa: tutti sanno correre ma solo qualcuno vince i cento metri. Così anche la poesia: tutti la usano ma solo qualcuno è Dante. Ma c’è anche un altro motivo per cui uso (come tanti miei colleghi) le canzoni in classe: san Giovanni Bosco diceva “Se ami quello che amano i ragazzi, i ragazzi ameranno ciò che ami tu”. Non so se sia sempre vero, ma il tentativo di mettersi nei panni degli altri (gli studenti, in questo caso) va sempre fatto.
Lei accosta il rap e al gregoriano. cosa hanno in comune?
Questa frase può sembrare bizzarra, ma volevo sottolineare che, come dice il vostro lancio, in entrambi questi generi musicali il testo “viene prima” della musica. Semplificando potremmo dire che il gregoriano nasce per mettere in musica la parola di Dio, e il rap nasce come “discorso ritmato” del dj fra un disco e l’altro. In entrambi i casi si parte dal testo, e poi si arriva alla musica. Chi ascolta un brano gregoriano o rap è portato a dare maggiore attenzione alle parole di chi ascolti un brano musicale di un altro genere. Era un accostamento per parlare dell’importanza del testo, spesso sottovalutata.
Ossimori, metafore, sinalefe, sinestesie, iperboli, allitterazioni, metafore. Come appassionare i giovani studenti a questi vocaboli?
Amandoli. L’insegnante che ama le figure retoriche, che le considera parole magiche capaci di trasmettere cose buone, le potrà far amare anche ai suoi studenti. Stupirsi davanti ad un ossimoro è necessario per trasmettere questa bellezza alle nuove generazioni. E poi per i soldi. Il linguaggio delle figure retoriche è presente dappertutto: nelle pubblicità, nei fumetti, nei videogiochi, nei giornali, nei quiz, nelle serie tv. Ad esempio: Dylan Dog, Breaking Bad, Mickey Mouse sono nomi facilmente memorizzabili perché contengono un’allitterazione. Chi voglia lavorare nel mondo della creatività e della comunicazione non può farne a meno. Imparare ad usare le figure retoriche potrebbe essere anche una mansione più remunerativa di quel che non si creda!
Max Pezzali è il re della metrica italiana. Un’affermazione impegnativa.
Sì, nel senso che è l’unico cantante italiano ad aver fatto dello spostamento degli accenti la propria cifra stilistica. “Chi è deserto non vuole che quàlcosa fiòrisca in te”, dice in un brano, trasformando “qualcosa” e “fiorisca” da parole piane a parole sdrucciole. Lo fa anche Elio (ad esempio nel finale di Cassonetto differenziato), ma in misura minore e per motivi diversi. Elio sposta gli accenti per far ridere, mentre Max sposta gli accenti per bisogni narrativi, per adattare un lessico colloquiale alla metrica: un’urgenza di quotidianità, se volessimo usare un’altra affermazione impegnativa.
Dice l’ISTAT cha in Italia si legge sempre meno. La quota di lettori di libri è scesa dal 43% del 2013 al 41,4% del 2014. Come pensa si possa convincere giovani e meno giovani a leggere di più?
Amando la lettura e proponendo i libri più belli che conosciamo. Un libro crea spazi di silenzio, tanto rari quanto preziosi, e permette al lettore di ent… ok, lo sapete. Ma molti miei studenti non lo sanno. I miei studenti devono leggere un libro scelto da me ogni mese, e dopo c’è la verifica, che controlla semplicemente che l’abbiano letto. Ad esempio cerco una frase importante del libro e gli chiedo chi la pronuncia: chi l’ha letto sa rispondere, chi ha letto il riassunto su internet non ci riesce.
Cerco di andargli incontro sui titoli, cercando cose che gli piacciano, ma devono piacere anche a me. In un anno le mie classi leggono circa nove libri (che forse non avrebbero mai letto). Mi capita di venire ricordato come il prof d’italiano che fa leggere i libri. Come se un insegnante di italiano dovesse fare qualcos’altro.
Quali i suoi prossimi progetti?
Scrivere. Scrivere ancora. Racconti, romanzi. Per bambini, per ragazzi. Vedremo. Trovo importante che un insegnante di lettere, che fa leggere e scrivere i suoi studenti ogni giorno, abbia fatto a sua volta l’esperimento di scrivere seriamente: così mi sembra di entrare in classe in modo più credibile.
Matteo De Benedittis
Nato a Reggio Emilia nel 1981 e laureato a Bologna nel 2004, ha insegnato lettere in vari studi superiori della sua provincia (dal liceo all’istruzione carceraria). Ora è di ruolo all’istituto alberghiero di Correggio (RE). Collabora con il mensile locale “Primo Piano”. Nel 2009 pubblica “Cantami o Dj”, un manuale di retorica che coniuga la passione per l’insegnamento con l’amore per la poesia e la musica. Dal 2008 suona il basso nei Piunz. E’ autore dei testi teatrali “Le lettere di Berlicche” e “I fantasmi di Padre Brown” per la compagnia Fucina Pacis. Dal 2012 presiede la giuria del concorso letterario per ragazzi “Apocrifo Dantesco Anacronistico”.