Per il libro del mese una scelta ambiziosa: un catalogo della mostra Tv70 che catalogo non è ma un vero e proprio volume di accompagnamento dei temi che la mostra della fondazione Prada tocca.
TV 70 è un progetto concepito dall’artista Francesco Vezzoli e sviluppato in collaborazione con la Rai, realizzato all’interno della Fondazione Prada di Milano. Il catalogo include testi di teorici e critici d’arte, di studiosi e professionisti della televisione in ambito sia italiano che internazionale.. Ne parliamo con Cristiana Perrella, curatrice del progetto.
TV70 è una mostra che racconta gli anni Settanta italiani attraverso le immagini prodotte dalla televisione nazionale, messe insieme secondo un percorso soggettivo dell’artista. “Se la Francia ha avuto il Centre Pompidou, noi abbiamo avuto la Radio Televisione Italiana” dice Francesco Vezzoli. Una vera dichiarazione d’amore per RAI!
Dalle sue prime opere Vezzoli ha guardato al mondo dei media come al miglior punto di osservazione possibile sulla società contemporanea, repertorio di caratteri, vizi, idiosincrasie a cui fare ricorso per attuare la sua indagine dei meccanismi del potere che affronta temi spinosi come fama, religione, sesso, politica. Il suo lavoro affonda profondamente le radici nell’immaginario televisivo che, per la sua generazione, vuol dire immaginario RAI. Addirittura la sua capacità di mettere insieme -all’insegna di una dialettica continua- elementi apparentemente inconciliabili che, con la mediazione del suo sguardo, appaiono invece connessi (cultura alta e pop, star e storia, dramma e lustrini…) può trovare la sua origine nella Rai della sua infanzia, capace di combinare registri diversi, linguaggi diversi con grande naturalezza e coerenza.
Partiamo dall’ideazione della mostra per arrivare al volume. Come nasce l’idea?
Da una conversazione di Francesco con la signora Prada che l’ha sfidato dicendogli “Tu che sai tutto di televisione, perché non ci fai una mostra?”. Da lì in poi è stato come affrontare un viaggio nella memoria di Vezzoli, e rendere visibili tutte le connessioni tra la storia, le immagini e le emozioni del suo decennnio di formazione (si è deciso subito, infatti, di concentrarsi sugli anni Settanta, fermandosi prima dell’arrivo della televisione commerciale). Una visione caleidoscopica, totalmente personale ma non per questo priva di realtà e anzi ricca di consapevolezza critica, con l’aspirazione restituire sia il clima di quegli anni che l’unicità della produzione RAI che li accompagnava.
A fare da controcanto all’immaterialità delle immagini televisive -che abbiamo ricercato nell’invalutabile patrimonio che sono le Teche RAI- si è pensato di scandire percorso della mostra con opere di artisti italiani dello stesso periodo, come epifanie che dessero corpo all’impalpabile, cioè lo spirito del tempo e le molte tensioni e idee che l’hanno attraversato. Una campionatura, a tratti eretica rispetto alla storia dell’arte “ufficiale” di quegli anni, che accosta testimonianze molto diverse, dando conto di un decennio di snodo, un decennio che ha la funzione di laboratorio ed è per questo molteplice, inquieto, ricco di cose che nascono e di cose che si estinguono. Come “compagno” ideale all’esperienza di visita della mostra, abbiamo voluto un libro –curato da Chiara Costa- che non ne fosse la documentazione ma che offrisse ulteriori spunti di approfondimento e riflessioni sui molti temi che la mostra solleva.
La mostra sceglie come arco temporale quello compreso tra il 1969 e il 1981. Dalla strage di Piazza Fontana alle ultime azioni delle Brigate Rosse, il periodo più buio del nostro dopoguerra. Ma furono solo questo quegli anni?
Certamente no e la mostra prova infatti a restituire la complessità di quel decennio affiancando al racconto incalzante delle bombe, degli omicidi, delle violenze di matrice politica che ne hanno segnato gli anni, la rappresentazione delle lotte per i diritti civili e delle conquiste ottenute in questo senso . A una pars destruens, virulenta, brutale, mortifera, si contrappone il desiderio costruttivo di cambiamento che ha scosso nel profondo un paese ancora fortemente legato a una cultura cattolica e patriarcale, difendendo le leggi sul divorzio e sull’aborto, riformando il diritto di famiglia, aprendo il mondo della scuola alla partecipazione con i decreti delegati, introducendo la possibilità di obiezione di coscienza al servizio militare, operando una radicale revisione dell’approccio istituzionale alla psichiatria. Cambiamenti in cui il movimento delle donne gioca un ruolo importante non solo conducendo battaglie per i diritti più legati al ruolo femminile ma anche operando come agente di trasformazione sociale a tutto tondo, andando ad intaccare beneficamente un ordine costituito fondato su un’immagine rassicurante, statica, subalterna della donna. Nel momento in cui l’elemento femminile esce dalla cornice in cui è stato racchiuso, si genera uno sbilanciamento che mette in moto e in discussione l’intera società. I Settanta sono stati il decennio più interessante del dopoguerra.
Tra esperienza individuale e mitologie collettive, TV 70 restituisce dunque il senso di un decennio che ha cambiato profondamente il nostro paese. Raffaella Carrà e Processo per stupro, Pasolini che spiega la forma della città e l’Orlando furioso di Ronconi, le inchieste di TV7 e Rischiatutto, i Racconti di Padre Brown e Mina e grandi registi, come Olmi o Antonioni. Una televisione con un forte senso di servizio pubblico.
La televisione ha avuto un ruolo importante nel cambiare l’Italia di quegli anni. La maggioranza degli italiani è venuta in contatto con i grandi temi del dibattito politico e culturale attraverso i programmi RAI. Processo per stupro fece scalpore e portò nelle case un tema crudo e coraggioso, imponendo a chi lo vide di farsi domande scomode sul modo di considerare le donne e il sesso, Si dice donna che ha portato i temi e il linguaggio del femminismo nel palinsesto televisivo, ma anche Milleluci che ha contribuito a quello che oggi chiameremmo empowerment femminile, proponendo l’immagine di due donne belle, intelligenti, liberate e ironiche che conducevano, senza bisogno di presenze maschili, il più importante show della settimana. Una tivù pubblica incalzata dall’avvento delle televisioni commerciali, ma ancora forte del suo lungo monopolio e dunque salda nel suo ruolo di servizio pubblico. Non c’era il timore di annoiare o perdere audience nel proporre il linguaggio sofisticato e sperimentale del teatro d’autore o approfondimenti dedicati agli artisti d’avanguardia, Pistoletto, Boetti, Agnetti, e si era allo stesso tempo capaci di dare spazio a narrazioni popolari di qualità come il Pinocchio di Comencini o Sandokan di Sollima. Era una televisione che non si limitava ad essere lo specchio del paese ma ancora pensava di poterlo cambiare, senza l’intento pedagogico e anche paternalista degli anni Sessanta ma con l’ambizione di guidare un dibattito pubblico sui grandi temi. Di fatto, quello che andava in onda lo vedeva metà del paese e il giorno dopo ne parlavano tutti.
FONDAZIONE PRADA PRESENTA “TV 70: FRANCESCO VEZZOLI GUARDA LA RAI” DAL 9 MAGGIO AL 24 SETTEMBRE 2017 A MILANO
http://www.fondazioneprada.org/project/tv-70-francesco-vezzoli-guarda-la-rai/