LIS e società: le ragioni dell’impegno per il riconoscimento giuridico

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copertina_volume carocciNella nostra società e in Parlamento è in corso da molti anni un dibattito sul riconoscimento giuridico della Lingua dei Segni Italiana. Nel libro, autori sordi e udenti affrontano aspetti diversi e complementari: la ricerca linguistica, le neuroscienze, il modello bilingue, la costruzione sociale della sordità, l’autodeterminazione, i diritti umani e le minoranze linguistiche. Di questi e altri aspetti parliamo con  Benedetta Marziale e Virginia Volterra, autrici  del volume Lingua dei segni, società, diritti edito da Carocci.

 

Cosa è la lingua dei segni italiana e come e quando nasce?
Prima di parlare di Lingua dei Segni Italiana è bene sgombrare il campo e fare una distinzione fra gesti e segni. Mentre i gesti sono i movimenti e le espressioni manuali e non manuali che accompagnano, in tutti gli esseri umani, la comunicazione vocale, i segni, sebbene abbiano un’origine gestuale, si sono evoluti costituendo nel tempo una vera e propria lingua.

Le lingue dei segni – e dunque anche la Lingua dei Segni italiana ‒ sono lingue a tutti gli effetti, dotate di una grammatica articolata quanto quella delle lingue vocali e di una caratteristica in più: si tratta di lingue multimodali che trasmettono l’informazione in maniera simultanea, coinvolgendo le mani, l’espressione del viso, i movimenti delle labbra, la posizione della testa e del busto.

Nel nostro paese, le prime ricerche sulla lingua dei segni utilizzata dalla comunità sorda sono cominciate agli inizi degli anni ’80, presso l’Istituto di Psicologia del CNR di Roma (oggi Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione). Tuttavia fin dall’antichità abbiamo notizia che anche in Italia i sordi comunicavano con i segni, sebbene sia difficile ricostruirne l’evoluzione perché tali lingue non hanno una forma scritta.

 

La lingua dei segni è un sistema linguistico complesso con differenze nazionali e regionali. Come mai non esiste una sola lingua dei segni e qual è il rapporto con le altre lingue dei segni?
Le lingue dei segni (LS) presentano caratteristiche simili a quelle che connotano le lingue naturali. Non sorprende pertanto che le LS siano tante quante sono le comunità dei sordi che le usano e ricomprendano anche varianti regionali. La ragione risiede nel fatto che una lingua dei segni si crea ed evolve grazie alla comunità dei suoi utenti ed è profondamente ancorata alla cultura di tale comunità. In particolare Ethnologue cita 138 LS diverse (www.ethnologue.com/subgroups/deaf-sign-language).

Con riferimento alla realtà del nostro paese, possiamo affermare che, negli ultimi 20 anni, in Italia la comunità dei segnanti è molto cresciuta. La LIS, ­che prima veniva usata solo in ambiti ristretti come la famiglia, i circoli e alcuni Istituti, ­ è ora utilizzata in numerosi contesti: scuole, università, conferenze e questo ha favorito l’evoluzione della lingua.

 

Può una persona sorda essere bilingue?
Per rispondere a questo interrogativo è opportuno riflettere sulla circostanza che, in oltre il 90% dei casi, i bambini sordi hanno una famiglia udente. Ciò produce diverse conseguenze:

  • quando ai genitori (udenti) viene comunicata la diagnosi di sordità, questi restano fortemente disorientati e la sensazione di impotenza può produrre anche la riduzione/interruzione degli scambi comunicativi con il figlio;
  • il bambino sordo ‒ vivendo in un contesto udente ‒ difficilmente riesce a godere di uno scambio comunicativo rilassato e naturale in quanto la lingua vocale non viaggia su un canale per lui integro;
  • rispetto ai suoi coetanei il bambino raramente potrà confrontarsi con un modello identitario “sordo” in quanto ‒ tenendo conto che la sordità incide sullo 1 per mille dei neonati ‒statisticamente è assai raro che egli possa entrare in contatto, nella sua infanzia, con altri bambini e adulti sordi.

Per un sano sviluppo psicologico/cognitivo/linguistico è invece molto importante che il bambino, possa interagire anche con coetanei e persone sorde ed essere esposto a una educazione bilingue. La conoscenza e l’uso regolare dell’Italiano e della LIS, rappresenta, infatti, il modo per comunicare con i propri genitori, sviluppare le abilità cognitive, acquisire conoscenza del mondo e relazionarsi con persone e coetanei udenti e sordi.

 

Nella nostra società e in Parlamento è in corso da molti anni un dibattito sul riconoscimento giuridico della Lingua dei Segni Italiana (LIS) già avvenuto in quasi tutti i Paesi europei. C’è chi sostiene, tuttavia, che questo comporterebbe solo un notevole esborso economico senza benefici per il superamento dell’handicap.
Il riconoscimento della LIS è fortemente legato alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con legge 18/2009) che prevede norme volte alla tutela dell’identità linguistico-culturale delle persone sorde (artt. 2, 9, 21, 24 e 30). Tuttavia, ad oggi, le iniziative parlamentari con questa finalità sono cadute nel vuoto, portando l’Italia a fanalino di coda nell’UE assieme solo al Lussemburgo.

E’ ancora forte, infatti, la posizione di quanti rifiutano il riconoscimento della LIS non ritenendola una lingua, o di chi sostiene la priorità di un investimento economico sulle nuove tecnologie, sottolineando che non tutti i sordi fanno ad essa ricorso.

In realtà, il riconoscimento della LIS non si contrappone agli avanzamenti della medicina o alle nuove tecnologie riabilitativo-comunicative. Da esso inoltre deriverebbero innegabili vantaggi:

  • un sistema di istruzione inclusivo che permetterebbe agli alunni sordi di accedere appieno ai contenuti didattici;
  • l’effettivo godimento delle libertà civili-politiche e dei diritti all’informazione, alla cultura e alla manifestazione del proprio pensiero (grazie all’accesso, anche in LIS, a prodotti e programmi culturali/di interesse generale);
  • il consolidamento del diritto alla salute e all’assistenza sociale attraverso la fruizione, anche in LIS, di prestazioni/servizi erogati da strutture pubbliche.

 

Lingua di maggioranza e lingua di minoranza: un dibattito oggi di stretta attualità. Si tratta di una prospettiva possibile e corretta anche per il riconoscimento della LIS?
E’ indubbio che alcune lingue siano “dominanti” e ampiamente diffuse mentre altre ‒ molte lingue vocali e, fondamentalmente, tutte le lingue dei segni ‒ restino relegate ai margini. Questo però fotografa solo il numero di quanti utilizzano un idioma e non invece la sua superiorità/maggior utilità in termini oggettivi.

Sebbene tutti gli individui dovrebbero godere dei diritti linguistici, accade che chi utilizza una lingua “dominante” ne benefici appieno, mentre lo stesso non può dirsi per quanti ricorrono a lingue diverse.

Ciò premesso, la questione del riconoscimento della LIS – oltre a trovare un valido fondamento nella citata Convenzione ONU – può essere inquadrata:

  • ai sensi degli artt. 2, 3 e 21 Costituzione (diritti inviolabili dell’uomo, principio di uguaglianza/divieto di discriminazione anche per ragioni di lingua, libertà di espressione). Si tratta di un’impostazione seguita dalle varie leggi regionali che hanno legiferato sulla promozione del riconoscimento della LIS e dai disegni di legge in discussione davanti al Parlamento nazionale.
  • Oppure anche ai sensi dell’art. 6 della Costituzione (minoranze linguistiche). Questa prospettiva, da alcuni non è considerata praticabile, per altri invece troverebbe conforto nella stessa Convenzione ONU che in alcuni articoli si riferisce proprio alla “comunità sorda” (artt. 24, comma 3 lettera b e 30, comma 4)

Indipendentemente dall’impostazione giuridica che il Parlamento vorrà dare alla questione, tuttavia una cosa è certa: il riconoscimento della LIS si basa sul diritto fondamentale di ogni essere umano ad esprimere sé stesso nella propria lingua (vocale o visivo-gestuale che sia) e a identificarsi positivamente con essa godendo del rispetto degli altri individui.

 

Benedetta Marziale, esperta di disabilità e diritti, è la coordinatrice dello Sportello sulla sordità dell’Istituto Statale per Sordi di Roma. Docente in corsi di formazione sulla sordità, ha pubblicato in questo ambito alcuni volumi e contributi a carattere educativo e giuridico.

Virginia Volterra, dirigente di ricerca in pensione, è associata attualmente all’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione – CNR. Ha svolto ricerche pionieristiche sulla lingua dei segni. E’ autrice di numerose pubblicazioni sul ruolo del gesto nello sviluppo tipico e atipico.

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