Nella nostra rubrica Navigare tra le righe abbiamo recensito il volume “Viva il congiuntivo!” di Valeria della Valle e Giuseppe Patota con esempi di errori clamorosi fatti da personaggi illustri. Giuseppe Antonelli nel suo bel libro “Comunque anche Leopardi diceva le parolacce” racconta come mai anche Dante e Boccaccio scrivevano “che tu vadi” e ancora nell’Ottocento Leopardi scriveva “che tu sii”.
Ma nel romanzo di Massimo Roscia “La strage dei congiuntivi” l’onta dell’errore grammaticale va lavata col sangue, l’uso sbagliato del congiuntivo va pagato con la morte. Non è così?
Nella realtà, la lingua italiana viene quotidianamente mortificata, saccheggiata, alterata, cannibalizzata, lacerata, corrotta, sfigurata, amputata, umiliata, avvelenata, torturata; nel romanzo – e, quindi, nel mondo della fantasia – i protagonisti (Dionisio e i suoi sodali: un analista sensoriale, un bibliotecario, un dattiloscopista della polizia e un professore di letteratura sospeso dall’insegnamento a tempo indeterminato) decidono di reagire, in maniera – forse un po’ troppo – plateale ed estrema, per ripristinare la ricchezza della lingua, difenderne l’integrità e celebrarne definitivamente la bellezza. Mi pare, comunque, un “equo processo”.
Il libro è un romanzo noir, genere in gran voga oggi, in cui un bizzarro gruppo di cinque persone prende di mira chiunque non sappia parlare in italiano, a partire da quelli che amministrano la cosa pubblica, presi ad esempio del diffuso decadimento culturale. Non a caso la prima vittima è proprio un assessore alla cultura.
«Cogido ergo sun: ovvero la filosofia per vivere meglio» è il titolo scelto (personalmente) dall’assessore alla cultura per celebrare l’amore per la sapienza e rimarcare le attenzioni che l’amministrazione, sin dal giorno del suo insediamendo, ha voluto riservare alle politiche culturale. Un breve saluto istituzionale rivolto ai partecipanti e poi, con raglio acuto e pomposo, l’intervento. Raccapriccianti errori fonetici, irripetibili aberrazioni lessicali, frasi irrelate e incoerenti, reggenze errate, espressioni fruste, banalità, sadiche sevizie inflitte alla grammatica, dolosi e reiterati oltraggi all’intelletto… Fino all’annuncio finale: «Il programma dettagliato delle manifestazione sarà presendato la prossima settimana in una conferenza stampa convocata a doc». A doc. Che altra sorte avrebbe potuto meritare l’assessore alla cultura?
Il racconto è pieno di citazioni classiche con un intreccio di livelli narrativi diversi, denso di rimandi e suggestioni, scritto con intento provocatorio e volutamente irritante. Non pensa che tutto questo possa rendere difficoltosa le lettura?
Da lettore io amo la finzione, l’inganno, il paradosso, la metafora, la mistificazione della storia, l’intreccio, il marameo dell’autore; adoro gli indizi apparentemente irrilevanti che poi si rivelano essere fondamentali per la comprensione generale del testo, i labirinti, i mondi paralleli, gli orizzonti di attesa che si avvicinano per poi allontanarsi all’orizzonte, i piani spaziali e temporali sconquassati, le trame – e le teste – contorte, il gioco, la burla, la provocazione, la sfida. E, fortunatamente, credo di non essere solo nell’universo.
Il grande linguista Tullio De Mauro, parlando di analfabetismo di ritorno, si riferisce al 71% della popolazione italiana che si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà e al misero 20% che possiede le competenze minime «per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse». Non si tratta solo di strage dei congiuntivi, ma di una vera e propria emergenza sociale. Come pensa che il suo libro possa contribuire in questo desolante panorama?
Il rischio di analfabetismo di ritorno (che non è più un rischio ma una tragica certezza), l’appiattimento semantico, l’incapacità di informarsi, la crescente diffusione di errori e orrori che sta ormai assumendo i caratteri della pandemia sublimano la mediocrità, la pigrizia, l’ignoranza, sanciscono ufficialmente l’abdicazione della cultura e profetizzano la rovina dell’uomo. Viva l’ottimismo. E “la strage dei congiuntivi”? Il mio romanzo è, per sua definizione, un libro e, in quanto tale, un taumaturgico antidoto. Se poi alla cura farmacologica accompagnassimo (congiuntivo imperfetto) anche qualche risata – che posso garantire nel corso della lettura –, allora la pillola potrebbe risultare meno amara.
MASSIMO ROSCIA è nato a Roma nel 1970 (qualcuno sostiene nel 1870). Scrittore, critico enogastronomico, docente, condirettore editoriale del periodico “Il Turismo Culturale”. Autore di romanzi, saggi, ricerche, guide e vincitore di diversi premi letterari, ha esordito nel 2006 con “Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo”. L’originale noir sul rapporto cibo-nevrosi ha ottenuto in pochi mesi un grande successo di pubblico e di critica. Da qualche anno insegna comunicazione, tecniche di scrittura emozionale, editing, letteratura gastronomica e marketing territoriale. Nei minuti liberi continua a scarabocchiare e a chiedersi cosa fare da grande.