La proposta per il mese di aprile La rete italica

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Nicc ReteNiccolò D’Aquino, giornalista e scrittore, da tempo collabora con Piero Bassetti incontrato quasi per caso nel 1993. E’ questa la seconda edizione aggiornata de “La rete italica.

Idee per un Commonwealth”, una globalizzazione che parla italiano e che si identifica nel termine “italicità”. Che cosa significa italicità? Qual è il concetto dietro questo termine?

Il termine “italicità” non è certo nuovo. I libri di storia ci dicono che con questa espressione venivano identificati nell’antichità i popoli che abitavano l’Italia e che man mano erano entrati a far parte della repubblica e poi dell’impero romano. Tutti i principali “cantori” e celebratori della grandezza romana sono stati non i romani ma… gli italici. La lista è lunga e impossibile da elencare tutta. Basti pensare che va da Cicerone a Orazio, da Virgilio a Plauto, da Catullo a Giovenale, da Ovidio a Livio: tutti nati e cresciuti non a Roma. E molti erano addirittura nati fuori dalla Penisola, come Seneca, Marziale, Tacito… È con questa consapevolezza che con Piero Bassetti e il suo think tank Globus et Locus si è pensato, ormai vari anni fa, che il termine poteva essere nuovamente ripreso. È ben noto infatti che ad amare, promuovere e sviluppare la passione per l’Italia, per tutto ciò che nei vari campi del bello, del gusto e dell’eccellenza è italiano non ci sono soltanto gli italiani più avveduti ma anche gli “stranieri”.

 

Quali sono i campi cui fa riferimento l’italicità?

Praticamente tutti.  L’italicità racchiude in sé quello straordinario e unico insieme di cultura, arte, gusto, stile, artigianato di qualità, moda, design, industria fine e di precisione, imprenditoria d’avanguardia ma anche eccellenza gastronomica (la buona tavola e il buon bere sono fondamentali ambasciatori e motori di italicità, guai a sottovalutarli) che danno vita a una raffinata e praticamente ineguagliabile “arte del vivere bene”. Chi vuole farne parte si concederà uno stile di vita e una visione del mondo davvero piacevoli e diversi. Chi non vuole… padronissimo di starne fuori: una libera scelta.  Ma non sa che cosa si perde!

 

Quanti sono gli italici? Esistono delle rilevazioni in questo senso? Nel suo libro si parla di circa 250-300 milioni di italici sparsi per il mondo…

Gli italici sono una rete estesa nei cinque continenti, una rete però con nodi e maglie larghissime e non frenanti o condizionanti in alcun modo. Una rete, oltretutto, che non sa ancora di essere rete. E quella cifra ha avuto autorevoli conferme. Una fra tutte quella del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, in almeno due discorsi ufficiali ha riconosciuto “la validità delle intuizioni di Piero Bassetti” e sottolineato “il desiderio di potersi giovare dei nostri prodotti che contamina un numero enorme di persone nel mondo – ben oltre le persone di origine italiana –  un numero stimato in almeno 300 milioni.

 

Il sottotitolo del suo libro/antologia è: Idee per un Commonwealth. Secondo lei è possibile fare delle ipotesi sul percorso da intraprendere per la creazione di un Commonwealth italico?

Sono convinto che un Commonwealth italico ancora non esiste. Ma potrebbe e, soprattutto, dovrebbe. Si tratta di un progetto politico e culturale ambizioso e di amplissimo respiro, con tempi probabilmente molto lunghi. Quello che conta è che le premesse per dare vita a una civilizzazione italica ci sono tutte. Avendo ben presente che si tratterà di un potere morbido non aggressivo e men che meno autoritario; un potere, di sicuro, senza alcun pensiero o retropensiero “colonizzante”. Interessato soltanto a dialogare e apportare il proprio contributo di bellezza alle altre civilizzazioni.

 

Ovvero? Quale può essere il rapporto con le altre civilizzazioni? E, prima di tutto, quali sono queste altre civilizzazioni? 

«Nell’era della globalizzazione nella quale siamo entrati e che in realtà è l’era della glocalizzazione, cioè della globalizzazione declinata su chiave territoriale, i confini delle antiche nazioni hanno sempre meno senso e vanno svanendo. Oggi al posto delle nazioni si stanno profilando nuove comunità di interessi. Si raggruppano attorno a civilizzazioni o Commonwealth come quella anglosassone che è l’esempio che viene subito in mente. Ma poi ci sono anche la francofonia, l’ispanicità, la rete cinese eccetera. E – concetto ancora più difficile da accettare, me ne rendo conto – stanno nascendo anche comunità di interessi che prescindono dall’importante collante della lingua e di una storia comune. Sono sottoreti o Global Communities che si muovono nella Rete e, disinteressandosi di bandiere, passaporti e lingue uniscono persone e comunità legate, appunto, da interessi comuni. È una previsione, peraltro, su cui le stesse Nazioni Unite stanno iniziando a ragionare. Da non molti anni, infatti, hanno dato vita al proprio interno all’UNAOC, l’alleanza delle civilizzazioni.

 

Lei ha menzionato prima la lingua. In questo processo che si va delineando quale ruolo potrà avere la lingua italiana?

A differenza dell’inglese che, declinato nelle diverse inflessioni della glocalizzazione (spanglish, franglish, itanglish, le numerose cadenze asiatiche eccetera), è sostanzialmente soprattutto un indispensabile strumento di comunicazione, la lingua italiana è una lingua che definirei di passione e di cultura. Quindi nel processo italico e, in generale, nel mondo sempre più globalizzato, continuerà ad avere un ruolo fondamentale. Sappiamo, ce lo dicono le statistiche internazionali, che è la quarta lingua più studiata al mondo. Ma, tranne che per gli immigrati che la imparano sul campo per poter lavorare e integrarsi in Italia, è soprattutto una lingua che si vuole apprendere non tanto per necessità quanto per amore verso uno o tutti gli aspetti della cultura e dell’Italian way of life: la musica, il Bel Canto, l’arte, la cultura, l’architettura, la gastronomia, lo sport. Insomma: per la Bellezza che è sinonimo di Italia. Perciò non vedo problemi sul futuro della lingua italiana.

 

BIOGRAFIA

 

Niccolò d’Aquino, giornalista, dopo essere stato a lungo inviato del gruppo Rizzoli Corriere della Sera e in precedenza dell’Ansa, è corrispondente dall’Italia del quotidiano America Oggi e collaboratore dell’online La Voce di New York. È anche consulente editoriale di una casa editrice di ebook e dirige una rivista in campo umanitario e religioso. Sulle idee di Piero Bassetti e sulla italicità ha scritto tre libri, oltre a numerosi articoli. La Rete italica, idee per un Commonwealth è il terzo. Attualmente sta curando la traduzione e versione in inglese di un altro suo libro: La tenda blu, in Etiopia con le armi della solidarietà (Edizioni Paoline, 2012).

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