(01/03/2018) Il 13 febbraio scorso si è festeggiata la “Giornata mondiale della radio“, celebrata per la prima volta nel 2012. Paolo Morandotti ha scritto un libro su questo meraviglioso medium “La radio tra convergenza e multimedialità”.
Ma è ancora centrale la radio ai tempi dei social?
Sì, la radio è ancora centrale e i dati di ascolto, non solo in Italia, lo confermano. È una centralità de facto, messa in pericolo da politiche ambigue condotte sia degli enti pubblici di trasmissione, sia dall’industria ormai orientata verso le nuove tecnologie. Da un lato si dice che la radio è vecchia e superata, dall’altro si prevede un brillante futuro nel digitale. Abbiamo confutato questo pensiero radiophonically correct con una serie di dati di fatto, che fanno capire che la radio è un medium peculiare, poco incline alla convergenza digitale; ma proprio per questo è un indispensabile complemento ai nuovi media per l’informazione e lo sviluppo sociale. Servono, quindi, scelte chiare e definitive per consentire al mondo radiofonico di continuare a giocare questo importante ruolo.
Qual è il ruolo della radio di servizio pubblico?
Dati alla mano, la radio è il medium con il quale meglio si può garantire a tutti, con continuità e in modo adatto alle necessità degli utenti, l’accesso alle informazioni necessarie per essere integrati nel mondo che ci circonda. Inoltre, per le sue caratteristiche comunicative, si presta bene ad assolvere quello che abbiamo chiamato “principio di terzietà”, ossia esprimere un punto di vista super partes rispetto ai grandi temi etici, politici, economici, tecnologici e sociali che stanno caratterizzando l’inizio di questo secolo. In questo contesto, appare indispensabile anche che i servizi pubblici riprendano a parlare a chi sta oltre confine, a chi usa un’altra lingua, ripristinando i programmi per l’estero. Solo unendo un’informazione seria e autorevole a un mezzo di uso semplice, totalmente anonimo e immediato si può tornare a una vera comunicazione tra popoli e culture diverse.
Convergenza, multimedialità, dati tecnici e dinamiche sociali: ma dove si posiziona la radio nel mondo dei nuovi media?
Si posiziona come un complemento ideale, non certo come un’alternativa a Internet.
I meccanismi sociali e i criteri con cui la comunicazione è organizzata e diffusa sui nuovi media non sono sovrapponibili a quelli usati e stimolati dalla radio, mentre lo sono per molti aspetti con quelli della carta stampata e della televisione. Con i nuovi media verifichiamo che McLuhan aveva ragione: il medium è il messaggio. Non cambia solo la percezione che abbiamo dello stesso contenuto; è diverso anche ma il modo in cui la rete influenza le nostre interazioni con il mondo che ci circonda. La radio può e deve usare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ma non deve inseguire modelli che non le appartengono; non può permettersi di perdere e nemmeno di annacquare le caratteristiche che ne fanno un mezzo unico.
“Chiamate Roma 3131” è stato il primo programma radio che ha aperto i microfoni al pubblico in Italia. Qual è oggi il rapporto tra la radio e gli ascoltatori?
È un rapporto forte, con caratteristiche peculiari; ma anche così naturale che spesso le persone con cui parlo pensano di non usarla, salvo poi rendersi conto che l’ascoltano in auto, la tengono in sottofondo mentre lavorano, la preferiscono nel digitale terrestre ai programmi televisivi… La radio stimola un rapporto fedele, assiduo, immediato; scandisce le giornate con gli appuntamenti fissi, raggiunge tutti e garantisce la libertà di ascoltare quello che si vuole nel pieno rispetto della privacy individuale. Ma c’è di più: mancando le immagini, la radio richiede un’elaborazione personale di quanto sentiamo; questo fa sì che la radio si adatti alla nostra intimità quanto un libro, pur portandoci nel cuore degli eventi come la TV o i social media.
Il libro propone anche dei casi di studio molto interessanti: Canada, Egitto, Città del Vaticano. Tre realtà molto diverse tra loro. Quali i motivi di questa scelta?
Ognuno di questi casi rappresenta sia una conferma di una tesi esposta nel libro, sia un punto di partenza per esplorare nuovi modelli di radio o riscoprire la validità e la modernità di quelli già noti.
Il caso canadese propone la radio come un mezzo per conservare un’identità forte ma in evoluzione, un servizio su più livelli che ne fa un vero “faro culturale” per la comunità cui si rivolge senza indugiare su un’immagine dell’Italia e dell’immigrazione che forse non esiste più.
La testimonianza di Concetta Corselli dimostra quanto la radiodiffusione internazionale fosse coinvolgente e stretti fossero i rapporti il pubblico e le stazioni che parlavano nella nostra lingua. Il genere radiofonico che creava quell’utenza fidelizzata e assidua che tanto piace oggi agli esperti di marketing è stato il più penalizzato dalla rivoluzione digitale, ma la sua storia ha ancora un grande valore per chi vuol fare radio.
Il caso vaticano avrebbe dovuto illustrare il passaggio di una radio internazionale a un nuovo modello di comunicazione via Internet. Finora, a fronte delle pesanti riduzioni nell’offerta radiofonica abbiamo visto solo la nascita di un portale per nulla innovativo. Un esempio che mette in guardia dai facili entusiasmi per le nuove tecnologie.
La Giornata mondiale della radio la riconosce come fondamentale mezzo di comunicazione, ma anche centrale per la collaborazione internazionale tra le stazioni emittenti, incoraggiando la creazione di reti e comunità per promuovere l’accesso all’informazione, la libertà di espressione e l’uguaglianza di genere sulle onde radio. Su questa traccia lavora la Comunità radiotelevisiva italofona organizzando eventi, seminari e coproduzioni radiofoniche in collaborazione con le radio che parlano italiano nel mondo. Questo mese si terrà la III edizione del “Seminario per comunicatori radiofonici” in collaborazione con Radio Rai dal titolo: “Raccontare la cultura alla radio”. Quali suggerimenti potrebbe dare alle nostre emittenti?
Su questi temi Italradio lavora da oltre vent’anni e abbiamo constatato enormi progressi: ai nostri primi incontri alcuni partecipanti non sapevano nemmeno che ci fossero altre radio estere che trasmettevano in italiano, mentre oggi ci sono emittenti che abitualmente registrano la presenza di radio italofone nei propri programmi, come Radio Capodistria, o il GR della Rai che trasmette corrispondenze di giornalisti di radio italofone all’estero. Questa è la strada per una solida rete di comunicazione italofona, perché arriva al pubblico sui temi di maggior interesse e in modo naturale.
L’uso della stessa lingua offre, tra l’altro, un’immediata sintonia con gli ascoltatori di altri Paesi ai quali la cultura non può solo essere raccontata, ma va spiegata e condivisa mettendosi nei panni di chi ha basi culturali e sociali diverse dalle nostre. È un lavoro difficile, ma che offre molto a chi lo fa e a chi lo ascolta; ed è, forse, la misura della vera radio.
Paolo Morandotti
Laureato in fisica, ha sviluppato la sua attività professionale nel mondo dell’informatica, principalmente su Internet, e della comunicazione. Dal 1996 è coordinatore scientifico dell’Osservatorio Italradio. Nel 2015 ha ricevuto il Premio Boselli per la sua attività a favore dei programmi radio in italiano e il Premio Picardi per il libro “90×90”.