La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico. Ce la possiamo fare?

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copertina_mastroianni_2Essere connessi sempre, con chiunque, senza mediazioni, ci porta ad un incontro quotidiano con l’altro in cui la diversità entra quotidianamente nei commenti e nelle discussioni dei nostri spazi online. Per il libro di settembre ne parliamo con Bruno Mastroianni autore di: La disputa felice, Franco Cesati editore.

Come sostenere un confronto senza scadere nel litigio, nel turpiloquio, nell’insulto?
Non è facile perché non abbiamo una formazione adeguata allo scenario di comunicazione in cui ci siamo trovati in pochi anni: la capacità di confrontarsi con la diversità, che prima era tipica delle professioni diplomatiche, della mediazione culturale e della comunicazione, è ora richiesta a tutti i possessori di smartphone che ne fanno un uso quotidiano e non professionale. A questa nuova possibilità dovrebbe corrispondere un adeguato sviluppo di competenze (intellettuali, cognitive, comunicative) che permetta di fruirne in modo proficuo. Il tema è educativo e culturale, spesso invece lo confondiamo per qualcosa di esclusivamente tecnico, legato solo all’uso degli strumenti. La domanda non è semplicemente “come uso il web” ma in che modo stabilisco rapporti con altri e con le informazioni in questo scenario di costante contatto con la diversità?

Dai dibattiti televisivi pieni di urla e scontri verbali si arriva alle risse e addirittura alle minacce di morte sui social. Chi sono i protagonisti di questi messaggi aggressivi e violenti?
È davvero sorprendente esaminare chi sono i cosiddetti hater: persone comuni, insospettabili che dietro una tastiera si trasformano in feroci odiatori, apparentemente privi di filtri e di umanità. Ma ancora più interessante – ancora prima degli eccessi violenti e vistosi – è studiare i velenosi “tra le righe”, le aggressioni espresse in modo indiretto, le generalizzazioni, i giudizi ad hominem, e tutte le altre strategie con cui, quotidianamente, nei nostri scambi abituali sui social, sappiamo esprimere ostilità verso l’altro. Come dico spesso: gli hater siamo noi. L’istinto ad aggredire l’altro ancora prima di ascoltarlo e capirlo viene da un atteggiamento protezionista che abbiamo nei confronti delle nostre convinzioni. Un istinto che si può educare: se ci pensiamo bene a scuola e nello studio impariamo a fare proprio questo; andrebbe fatto a maggior ragione sui social.

Con i social si verifica un fenomeno contraddittorio: l’interlocutore è “distante”, ma al tempo stesso “vicino”. In che modo viene influenzata la modalità di interazione dalla possibilità di interloquire immediatamente?
Gli psicologi sanno bene quanto frapporre una piccola distanza tra gli interlocutori possa aiutare la sincerità invece di comprometterla: ad esempio quando scriviamo una lettera ci sentiamo più liberi di esprimere i nostri sentimenti rispetto al farlo di persona. Cercherei di vedere l’effetto dei social in questo senso: è più facile manifestare i propri moti spontanei e di pancia. Molti sembrano non rendersi conto che stanno esprimendo odio per iscritto e in pubblico (che quindi è visibile a tutti e rimane nel tempo). Si stava meglio quando si vedeva meno? Io credo di no. Quell’odio e quella grettezza c’erano, forse inespressi, eravamo solo capaci, a livello di opinione pubblica, di ignorarli meglio. Ora non possiamo più girarci dall’altra parte.

Anche la lingua italiana viene violentata in questa modalità estrema di comunicazione. Ci sono speranze per un’inversione di rotta?
Effettivamente contenuto e forma vanno sempre assieme. Di solito chi aggredisce lo comunica in modo coerente con la sua aggressività: termini inadeguati, errori di grammatica, punteggiatura a caso, errori di battitura dovuti alla non rilettura… è un segnale importante che ci ricorda quanto non esista separazione tra essere e comunicare: siamo ciò che comunichiamo e comunichiamo ciò che siamo. Occorrerebbe entrare in una diversa prospettiva, fin da piccoli: siamo ormai destinati a vivere abitualmente in una dinamica di relazione esponenziale (soprattutto grazie alle connessioni e al web), ci è richiesto di dare molto più peso alle parole, ai gesti, agli atteggiamenti che assumiamo, perché attraverso essi mostriamo chi siamo a una moltitudine di persone che prima non avremmo mai raggiunto. È come se fossimo diventati tutti personaggi pubblici. La nostra reputazione online incide in modo decisivo su tutti gli altri ambiti della nostra vita relazionale. È da questa consapevolezza che occorre ripartire.

O con me o contro di me. Esiste una terza via?
Quello del bivio è un atteggiamento mentale che ci viene da anni di dibattiti mediatici e politici semplificati e ridotti a dimensione binaria: a favore / contro, sì/no, giusto/sbagliato. Nella realtà la considerazione della terza, quarta, quinta via è il modo per conoscere davvero come stanno le cose. Nel libro faccio l’esempio del dilemma classico del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Per conoscere la realtà del bicchiere ci vogliono diverse prospettive: quella dell’assetato che lo vedrà mezzo pieno, ma anche quella del medico che lo vedrà mezzo vuoto e non sufficiente a idratare, così come quella del fisico che calcolerà l’esatto volume del bicchiere e vedrà se la quantità d’acqua è davvero la metà. L’insieme di queste osservazioni ci descrive il bicchiere molto meglio della esclusione dell’una o dell’altra. Il bivio è sempre un po’ artificiale: invitando allo schieramento riduce la ricchezza dei significati presenti in una situazione.

La disputa può essere cordiale, aspra, pacifica, amichevole, ma è sempre una discussione fra più persone che sostengono pareri diversi su una determinata questione. Quali sono le tecniche per poter tenere una disputa felice?
Intanto riconoscere la funzione della disputa: non è il momento di chiudere questioni, di dire l’ultima, di definire. Si va alla disputa proprio per aprire, per mettere alla prova, per esplorare aspetti non considerati. Da questo punto di vista i social sono l’ambiente ideale. Poi bisogna farlo con tre atteggiamenti di fondo: interpretare se stessi senza gonfiare o fingere di avere competenze che non si hanno; prendere sempre sul serio le argomentazioni dell’altro, anche quando ci appaiono insufficienti farlo notare attraverso altrettante argomentazioni e non censurando; infine: non difendersi dietro qualche ruolo o autorità (“sono un esperto”, “la scienza dice”, “è troppo complesso”) ma accettare di ridiscutere, ribadire, provare, dimostrare, sempre. Ci vuole pazienza e umiltà, ma l’effetto di soddisfazione è garantito, la disputa può essere felice.

L’autore
Bruno Mastroianni (www.brunomastro.it), filosofo e giornalista, è consulente per i social media per alcune trasmissioni televisive della Rai. Docente e ricercatore di Teoria generale della comunicazione, insegna anche Comunicazione di crisi. Da sempre si interessa agli aspetti antropologici della comunicazione sui media e sui social network.

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