“Fratelli e sorelle, buonasera”

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copertina_interno“Il linguaggio di Papa Francesco” è un volume di saggi appena uscito a firma di Salvatore Claudio Sgroi per la Libreria Editrice Vaticana.

 

Professor Sgroi come definirebbe l’italiano di Francesco I?
Se la lingua è innanzi tutto un sistema di espressione e comunicazione grazie a cui ogni individuo può realizzare in maniera sempre perfettibile sé stesso e può interagire con gli altri, posso definire il linguaggio di Papa Francesco, nella misura in cui riesce a raggiungermi, a farsi capire, ma anche a farmi riflettere sui problemi della vita quotidiana e del mondo in generale.
Da questo punto di vista, l’italiano del Papa, peraltro lingua non-nativa, ma frutto di acquisizione ‘spontanea’ e di apprendimento, non può che essere giudicato eccellente per la sua chiarezza lessicale, sintattica, testuale, per la sua intrinseca dialogicità e la rilevanza dei suoi contenuti umani, culturali e politici. Un italiano, quello di Papa Francesco, la cui qualità non è certamente inferiore a quella degli stessi italofoni nativi, non sempre invero chiari linguisticamente e spesso aggrovigliati e superficiali nei contenuti.

 

Gli errori linguistici di Papa Francesco sono dovuti alla spontaneità, alla sua vicinanza alle persone o alla non perfetta conoscenza della nostra lingua?
Bisogna intendersi sul significato da attribuire all’espressione “errori linguistici”. L’uso linguistico di un qualunque parlante (colto o incolto, nativo o straniero) può essere legittimamente  definito “un errore” quando risulta al suo destinatario oscuro, incomprensibile, ambiguo, contraddittorio. Chi potrebbe mai definire “incomprensibile”, privo di un filo logico il linguaggio di Papa Francesco, per di più italofono non-nativo?
E pur essendo italofono straniero per nulla oscuro, forse che il suo italiano è l’italiano tipico dei nativi scarsamente acculturati, che usano una lingua con ortografie o usi morfologici o sintattici o lessicali che non apparirebbero mai in contesti anche medi? L’italiano cosiddetto popolare, indizio di scarsa cultura, è di chi scrive abbile o dice faccino pure, se potrei lo farei certamente. Esempi del genere non mi pare siano documentabili nei discorsi, parlati e scritti, di Papa Francesco. Il suo italiano condivide piuttosto il prestigio dell’italiano standard e neostandard.
Quanto alle altre caratteristiche del linguaggio del Papa, la sua pronuncia non è certamente sempre quella dei nativi.  Qui, si potrebbe parlare di “errore” o interferenza fonologica da non-nativo, senz’alcuna ricaduta peraltro sul senso del discorso. Si percepisce sì la sua origine ispanica. Non sempre le consonanti doppie sono intense come per un italiano,  per es. “nel cam(m)ino della vita”, “0g(g)i”, “dot(t)ori”, ma “corrotto”, come in spagnolo “carro”. Ma  anche i nativi italofoni settentrionali hanno difficoltà a pronunciare le consonanti doppie per via del loro dialetto nativo. Nel parlare spontaneo possono anche affiorare parole spagnole, che non intralciano però il significato del discorso.

 

Commentatori e giornalisti tendono spesso a “normalizzare” le parole del Pontefice. Con quali strumenti il linguaggio diretto di Papa Francesco viene reinterpretato? Si può parlare di depotenziamento o addirittura di tradimento?
Quando il nostro uso linguistico appare diverso da quello degli altri, è quasi istintivo ritenere che gli altri sbaglino, e la tendenza è quella di correggerli. La correzione mira a rendere “normale” (dal nostro punto di visita) quello che non ci sembra tale. Questo processo di “normalizzazione” agisce ancor più quando gli altri sono poi parlanti stranieri.
Come abbiamo prima accennato, non c’è dubbio che l’errore linguistico è una realtà indiscutibile: quando però la comunicazione non risulta chiara. E a questo punto la correzione operata dai destinatari è rischiosa. È infatti assai difficile entrare nella mente dei parlanti provando a indovinare i loro pensieri. La strategia più opportuna al riguardo è allora quella di chiedere all’interlocutore quello che lui voleva dire invitandolo a chiarire il suo pensiero.
La correzione operata dagli altri tradisce spesso un’incomprensione, che si rivela una banalizzazione e depotenziamento del pensiero di un autore. È quanto è accaduto, come credo aver dimostrato, con alcuni presunti errori del Papa: lo “spuzza” corretto in “puzza”; certi usi del congiuntivo nelle frasi dipendenti; presunte confusioni tra “allevare” e “alleviare”; o il francescano “laudato si(e)”, o il “che si pentiscano!”  corretto in “che si pentano!”.

 

Il saggio sull’italiano del Papa è seguito da quello dei giornalisti e dei politici. Secondo lei hanno molto da imparare dalla naturale empatia linguistica di Francesco I?
In ogni società la lingua nazionale nella sua duttile sistematicità presenta usi differenziati  secondo i vari gruppi e ceti sociali e i loro ruoli. Il prestigio dei vari strati sociali inevitabilmente caratterizza il prestigio delle diverse varietà della lingua nazionale. Nel caso quindi di Papa Francesco, straniero sì, ma italofono straordinario quasi “nativofono”, il prestigio per il ruolo da lui incarnato è altissimo. Tra l’altro la sua italofonia si rivela originalmente creativa. Si veda misericordiare, mafiarsi, nostalgiare, commosso cioè turbato. Un modello insomma per tutti. Giornalisti e politici compresi, che non dovrebbero mai dimenticare di essere al servizio dei propri lettori ed elettori, in termini di garantire la comprensibilità dei propri testi e di aiutarli a capire i problemi reali della società italiana in un mondo globalizzato come il nostro.

 

Salvatore Claudio Sgroi è ordinario di Linguistica generale nell’Università di Catania. Si è occupato di grammatica italiana in prospettiva teorica, storica, descrittiva e normativa (Per una Grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica dalla parte del parlante, Utet 2010), e in particolare del problema del congiuntivo (Dove va il congiuntivo?, Utet 2013). Alla lingua italiana e alle sue varietà ha dedicato vari saggi, tra cui Scrivere per gli Italiani nell’Italia post-unitaria (Cesati 2013). Si è occupato altresì di storia del pensiero linguistico, di terminologia linguistica, di storia della grammatica, di sintassi, della formazione del lessico, di educazione linguistica (La norma coseriana e la norma dei grammatici, in AA.VV. Oltre Saussure, Cesati 2015). Da anni svolge una intensa attività di divulgazione linguistica in sedi giornalistiche. È autore di oltre 400 pubblicazioni.

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