La radio, un medium sempreverde

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lingua_radio_2In Italia nasce nel 1924: ha più di 90 anni, ma non è mai stata così vitale. La radio sta vivendo una seconda giovinezza in un felice connubio con la rete. Ne parliamo con Enrica Atzori, autrice del volume La lingua della radio in onda e in rete edito da Cesati.

Come si può raccontare questa rinascita della radio?
La rinascita della radio è fotografata anzitutto dai dati statistici. Il 13° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione fornisce i dati degli ultimi 10 anni: la radio è passata da un’utenza complessiva del 77,7% nel 2007 all’83,9% nel 2016, con una crescita del 6,2%. La radio è accessibile da molti dispositivi ed è il mezzo più utilizzato fuori casa e in mobilità. L’ascolto tramite autoradio è aumentato e rimane prevalente, ma una chiave del successo è la diffusione degli smartphone connessi a internet: la crescita complessiva dell’utenza della radio da smartphone è stata pari a +13,7% nel periodo 2007-2016. Computer e smartphone consentono di recuperare in ogni momento la trasmissione preferita e liberano dal vincolo della messa in onda: dal sito della radio o tramite podcast posso ascoltare un programma quando voglio, posso interrompere, riprendere o ripetere l’ascolto a mio piacimento.

Ai pubblici tradizionali si aggiungono nuovi pubblici, vecchi generi tornano di moda grazie alla rete. Si poteva immaginare una rinascita simile?
Una maggiore fruibilità avvicina certamente nuovi pubblici. Inoltre il podcast sta facendo tornare in auge generi finora in declino, perché costosi da produrre, come il radiodramma, la soap-opera, la fiction seriale, il documentario e il giornalismo investigativo. Una declinazione attuale della drammaturgia radiofonica è lo storytelling, la narrazione di storie e vissuti personali. Le emittenti dovrebbero osare di più in queste direzioni e differenziarsi con programmi innovativi e di qualità.

Come e cosa è cambiato nella fruizione dei programmi radiofonici e quali sono i generi che oggi incontrano maggiormente l’interesse del pubblico?
Siamo in presenza di una virtualizzazione della comunicazione radiofonica, sempre più mediata dal telefono, dagli sms, dai messaggi Whatsapp scritti e vocali, dai social network come Facebook e Twitter. Inoltre la programmazione è dominata da formati brevi, per catturare l’attenzione discontinua di un pubblico conteso da molti competitori: chi parla alla radio ha pochissimo tempo per convincere gli ascoltatori a rimanere sintonizzati. In questo panorama, il genere maggiormente diffuso e che ottiene i più alti indici di ascolto è il contenitore di intrattenimento, dove si alternano vari frammenti (canzoni, notizie di attualità e di costume, brevi interviste, sondaggi in cui si chiede il contributo del pubblico sui temi proposti, telefonate, umorismo, giochi). Tante trasmissioni finiscono così per assomigliarsi, soprattutto nelle radio private musicali, con l’unica distinzione data dalla personalità dei conduttori.

La radio, ormai ascoltata correndo, guidando l’auto, in metro o sul bus, navigando in rete, riesce ad influenzare il nostro quotidiano o è solo un accompagnamento di sottofondo?
La radio spesso è ancora la prima fonte di informazioni, che poi vengono approfondite in tv, internet e giornali, e continua ad esercitare la sua influenza nel formarsi dell’opinione pubblica. I tormentoni musicali diventano tali con la continua rotazione in radio. La radio è centrale nella vita quotidiana di molti, che la seguono non solo in onda, ma anche in rete, attraverso gli account digitali delle emittenti, dei programmi e dei conduttori (social radio).

La connessione con la rete, il podcast, i social media hanno ridotto enormemente la distanza tra chi parla e chi ascolta la radio. Come si è evoluto il rapporto tra conduttore e pubblico dal mitico 3131 ad oggi?
Chiamate Roma 3131 ha aperto nel 1969, per la prima volta nella radio nazionale, un dialogo reale con gli ascoltatori al telefono. Dalla metà degli anni ’70, con la riforma della Rai e l’avvento delle radio libere, parlano alla radio non più speaker professionisti, ma giornalisti, conduttori e disk-jockey con i loro accenti regionali, peculiarità e tic linguistici che li avvicinano al pubblico. Si tratta spesso di personaggi di spettacolo poi approdati alla televisione: attraverso la tv e la “radiovisione” diventano visibili. La distanza tra gli autori del messaggio radiofonico e gli ascoltatori si è andata via via riducendo fino a quasi scomparire con l’emergere dei pubblici “connessi in reti”: le personalità della radio si rivelano, sono raggiungibili e si può interagire con loro in tempo reale tramite i social network.

Nel volume si trova anche un’accurata analisi linguistica di alcuni programmi. Come si può valutare l’italiano radiofonico dei programmi di oggi?
Nella prima parte del libro (“La radio in onda”) ho esaminato alcuni tra i programmi più ascoltati: i notiziari GR1 e GR24, il contenitore d’informazione No stop news di RTL 102.5, il contenitore di intrattenimento Tutto esaurito di Radio 105, primo nelle rilevazioni più recenti degli indici di ascolto, in alternanza con Lo zoo di 105 della stessa emittente.
I programmi di informazione e quelli culturali mostrano una lingua in genere corretta e controllata, spesso dipendente dallo scritto. Le frasi sono più lunghe, prevale la subordinazione, la sintassi tiene, così come il congiuntivo. Il lessico adottato è generalmente comune, tecnicismi e forestierismi sono poco numerosi. Nel radiogiornalismo cresce il ricorso al registro brillante.
I programmi di intrattenimento sono molto più aperti al parlato, anzi ne enfatizzano spesso i tratti linguistici in un “iper-parlato”, sia nella pronuncia regionale sia nella frequenza di interiezioni e segnali discorsivi. Le frasi sono brevi, interrotte nei dialoghi da segnali di conferma e di commento o completamento da parte degli interlocutori, e la sintassi è semplificata. Il registro è decisamente colloquiale e informale, spesso aperto al giovanilismo, in alcuni casi limite anche al turpiloquio. Insomma quella della radio in onda è una lingua multiforme e perlopiù leggera.
Nella seconda parte del libro (“La radio in rete”) ho studiato 10 pagine Facebook di programmi di tipologia talk che nel periodo in esame sono state le più coinvolgenti, ovvero hanno creato più interazioni rispetto al numero di fan. Le pagine più efficaci sono risultate Il ruggito del coniglio di Rai Radio2, Deejay chiama Italia di Radio Deejay, Lateral di Radio Capital.
L’analisi linguistica ha mostrato che i fan rispondono in eco alle trasmissioni, ma anche che una certa distanza separa la comunicazione delle emittenti nei post e dei fan nei commenti. Nei post dei programmi abbiamo riscontrato una lingua semplice, sintetica, ma abbastanza tradizionale e controllata. Nei commenti dei fan abbiamo riconosciuto molti tratti comuni alle scritture digitali, maggiore informalità e trascuratezza. La social radio mostra dunque una lingua bifronte e democratica: mentre il telefono aveva sancito per gli ascoltatori il diritto di parola alla radio, i social network realizzano il diritto di scrittura in pubblico per tutti.

Enrica Atzori ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia della lingua e della letteratura italiana presso l’Università degli studi di Milano. Si è occupata di lingua dei mass media (La parola alla radio. Il linguaggio dell’informazione radiofonica, Cesati, 2002) e della comunicazione pubblica (La comunicazione pubblica del comune di Milano. Analisi linguistica 1859-1890, FrancoAngeli, 2009). Bibliotecaria, lavora per la promozione della lettura e della padronanza linguistica.

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