Viene alla luce proprio in questi giorni un volumetto di Giuseppe Patota, ordinario di linguistica, che analizza la parola bravo nelle sue diverse accezioni a partire dal 1300 fino ai giorni nostri.
Come nasce l’idea di questo libro?
Il libro è nato dal desiderio di rispondere alla domanda fatta da un mio studente durante una lezione sulla lingua dei Promessi Sposi: «Professore, nell’uso italiano contemporaneo la parola bravo ha un significato normalmente positivo: è bravo chi è ‘abile’, ‘capace’; oppure chi è ‘buono’, ‘onesto’ e fa il suo dovere. Come mai, invece, i bravi di Alessandro Manzoni tutto erano meno che bravi?». Lo studente aveva ragione. Peraltro, nell’italiano attuale, non hanno un significato positivo né la parola bravata, la cui derivazione da bravo è trasparente, né l’espressione notte brava: una bravata, infatti, è un comportamento o un discorso provocatorio, tracotante o minaccioso, oppure un’azione inutilmente rischiosa; una notte brava , invece, è una notte turbolenta, fatta di bravate, atti di teppismo o divertimenti sfrenati. La domanda dello studente meritava una risposta meditata e articolata; a poco a poco, la risposta si è trasformata in un libro.
A quali conclusioni è arrivato?
Nell’italiano antico, dall’inizio del Trecento fino alla fine del Quattrocento, l’aggettivo bravo significò più cose insieme: ‘feroce’, ‘crudele’, ‘coraggioso’ sì, ma fino alla temerarietà. La mescolanza di significati positivi e soprattutto negativi dipende dal fatto che bravo deriva dal latino barbarus, che a sua volta riprende il greco bàrbaros. Bravo e barbaro, dunque, sono parole sorelle: perciò non meraviglia che la prima, bravo, abbia condiviso molte valenze negative della seconda, barbaro.
Evidentemente nei bravi dei Promessi sposi si concentrano i significati negativi di ‘sgherro’, ‘scherano’, ‘violento’. Come e perché nel tempo il senso della parola viene completamente stravolto, tanto da diventare sinonimo di ‘capace’, ‘esperto’?
La trasformazione si è avuta nel corso del Cinquecento. Quando l’Italia diventò un campo di battaglia e un oggetto di conquista da parte degli eserciti stranieri, non si guardò troppo per il sottile, e le componenti negative passarono in secondo piano: in battaglia la bravura diventò una virtù. Fu questo a determinare il passaggio dalla negatività alla positività.
Nel 1600 arriva anche il bravo! seguito dal punto esclamativo, come formula di approvazione, diffuso nelle varie lingue d’Europa.
Fra Seicento e Settecento la parola, da positiva che già era, lo diventò ancora di più. Da una parte, riferita a nomi comuni come bambina e bambino, donna, figlia e figlio, fratello, gente, giovane, madre, marito, moglie, nipote, padre, ragazza e ragazzo, sorella, uomo assunse il significato di ‘buono’, ‘onesto’, ‘che fa il suo dovere’; dall’altra, usata da sola, diventò un’esclamazione di approvazione da rivolgere a chi dice o fa, ha detto o ha fatto, dirà o farà qualcosa che merita consenso o incoraggiamento: Bravo! Dal Settecento in poi, questo italianismo si è diffuso in moltissime lingue del mondo. Io sono arrivato a contarne una quarantina, ma sono sicuro il numero è ancora più alto.
Dal Barbiere di Siviglia di Rossini, alla scena del Nerone di Ettore Petrolini, la parola approda dall’opera, al varietà, al cinema, alla televisione con la splendida canzone interpretata da Mina:
Proprio così. Nella storia della musica italiana, il bravo! più famoso dopo quello che echeggia nel Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini è il brava cantato da Mina nella canzone costruita nel 1965 da Bruno Canfora per saggiare le straordinarie capacità vocali della cantante che, con prodigiose scorribande lungo un’estensione vocale di oltre due ottave, ne restituì un’esecuzione strabiliante.
Per finire: Italiani brava gente. In che accezione va intesa questa frase?
La formula, nata alla fine dell’Ottocento, dapprima ha alluso alla presunta umanità dimostrata dai nostri soldati nei confronti dei civili nel corso di guerre di occupazione; poi è passata a indicare la caratteristica di popolo accogliente, tollerante e non razzista che ci connoterebbe. Mi farebbe piacere poter considerare questo modo di dire storicamente fondato. Purtroppo, alcuni fatti lo hanno smentito. Gli storici hanno documentato che anche noi italiani, nelle nostre colonie e in alcuni territori occupati durante la seconda guerra mondiale, ci siamo comportati in maniera brutale, esattamente come altri popoli in analoghe situazioni. Speriamo che, in futuro, il modo di dire si riveli costantemente fondato.
Biografia
Giuseppe Patota è professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Siena-Arezzo. È socio corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia e Accademico corrispondente della Crusca.Dal 2004 al 2015 è stato direttore scientifico del Dizionario Italiano Garzanti; nel 2014 è stato consulente scientifico del Thesaurus dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani. Dal 2008 è consulente linguistico di Rai Scuola (già Rai Educational) per la realizzazione di programmi finalizzati all’insegnamento dell’italiano a stranieri. Le sue ultime collaborazioni, in ordine di tempo, hanno riguardato il “Grande Portale della Lingua Italiana” (http://www.italiano.rai.it/) e la serie televisiva “Per Dante”, realizzata da Rai Scuola nel 2015. Patota ha al suo attivo oltre cento pubblicazioni, alcune delle quali sono state tradotte in Francia e in Giappone. L’ultimo volume pubblicato prima di Bravo! si intitola La grande bellezza dell’italiano: Dante, Petrarca, Boccaccio (Roma-Bari, Laterza, 2015).