Dal sito dell’Accademia della Crusca vi segnaliamo questo articolo del Presidente Paolo D’Achille.
Il Maestro Muti viene insignito dall’Accademia della Crusca del premio “Benemerito della Lingua Italiana 2024” e il presidente Paolo D’Achille, cogliendo questo e diversi altri spunti dalla storia e dall’attualità, propone una riflessione sull’italiano della musica.
Come è noto, il 6 dicembre 2023 l’Unesco ha riconosciuto il canto lirico italiano come patrimonio immateriale dell’umanità. Si tratta di un evento di grande importanza per la nostra cultura e per la nostra lingua. All’interno del repertorio della musica lirica, infatti, non solo le opere composte su libretti in italiano, ormai eseguite ovunque in lingua originale, hanno una parte privilegiata (e pressoché esclusiva nella stagione compresa tra il Seicento e il tardo Settecento), ma la stessa forma di spettacolo è stata inventata in Italia, per la precisione a Firenze, alla fine del Cinquecento, e dalla città toscana è passata prima in altri centri italiani (Mantova, Roma e Venezia, dove dalle corti si spostò nei teatri) e poi un po’ in tutta Europa. Proprio grazie all’opera lirica, che lega indissolubilmente musica e poesia (il famoso recitar cantando dei primi melodrammi), l’italiano è stato considerato la lingua musicale per eccellenza, quella più adatta a incontrarsi con la musica: in effetti, nella struttura fonologica della nostra lingua, le consonanti sonore sono più numerose delle sorde (che si realizzano senza che le corde vocali entrino in vibrazione), la presenza di gruppi consonantici è abbastanza ridotta e, soprattutto, hanno molta importanza le vocali. Nel fiorentino, che è alla base dell’italiano, le vocali sono esclusivamente “orali” e non nasalizzate, costituiscono il nucleo delle sillabe, sia toniche sia atone, e compaiono quasi sempre in fine di parola e sempre in fine di frase, anche se proprio al nuovo rapporto con la musica si deve l’accoglimento dei troncamenti nel verso finale delle arie, necessari per ottenere versi accentati sull’ultima sillaba per ragioni musicali. Ma anche la libertà sintattica, in italiano molto maggiore rispetto ad altre lingue moderne, favorisce l’intonazione, come pure la possibilità di disporre in poesia, a seconda delle esigenze ritmiche, di alternative come speme e speranza, dolore e duolo, principe e prence, sempre e ognora. Per quasi due secoli, tra il Seicento e il tardo Settecento, l’italiano fu la lingua pressoché esclusiva dei melodrammi in tutta Europa, con l’eccezione della Francia, dove, peraltro, il melodramma fu importato da un musicista italiano, Giovanni Battista Lulli, diventato Jean-Baptiste Lully. Composero opere su libretto italiano anche musicisti stranieri come Händel, Haydn, Gluck, Mozart: è fin troppo ovvio ricordare che sono in italiano i libretti, scritti dal veneto Lorenzo Da Ponte, dei tre capolavori mozartiani (Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte).
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