Sindaco e sindaca: il linguaggio di genere

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(22/11/2016) Si sente parlare del ministro Boschi, del direttore generale del Cern Fabiola Gianotti, anziché di ministra e di direttrice, ecc. Perché non usare il termine femminile, come avviene abitualmente per indicare ruoli e professioni meno prestigiose? È una questione che si trascina da anni ed è ancora oscillante, suscita perplessità e interrogativi in un pubblico sempre più ampio anche perché riflette mutamenti sociali ancora in corso. Ma certo fa pensare il fatto che nessuno definisca una donna maestro, parrucchiere, portiere… Forse le donne non sono degne di titoli professionali come architetta, chirurga o primaria o di termini che indicano ruoli istituzionali come sindaca, deputata o ministra? O si tratta semplicemente di scarsa abitudine a usare queste forme, dal momento che solo da poco tempo i progressi compiuti dalle donne in campo lavorativo e professionale le hanno messe in gioco?
Anche l’Accademia della Crusca ha difeso più volte l’uso di questi termini, ineccepibili dal punto di vista linguistico. Ciò non vuol dire, deve essere chiaro, che la Crusca li impone. Ma ci sono casi in cui la scelta si è orientata in maniera abbastanza netta: sindaca e ministra appartengono ormai al linguaggio comune, anche se rimangono, soprattutto da parte dei parlanti, molte incertezze sulla “correttezza” delle nuove forme femminili (si può dire difensora?), su quali scegliere se ce ne sono più di una (avvocata o avvocatessa?).
L’interesse testimoniato dalla stampa, dalla radio e dalla tv è in crescita. Ma è lo sterminato mondo di Internet a offrire, nelle sue innumerevoli pieghe (blog, chat, Facebook, Twitter…), un enorme campionario di proposte, opinioni e reazioni sul tema, confermandone l’importanza sul piano culturale e civile. Il dibattito sul possibile effetto discriminante del linguaggio nei confronti delle donne è quindi aperto e attualissimo.
Tenendo conto delle oscillazioni che emergono nell’uso concreto della lingua, di un assestamento linguistico non ancora avvenuto, ma anche dell’importanza che il tema ha assunto per la comunicazione quotidiana, e oggi anche istituzionale, la nostra intenzione è di descrivere lo stato dei fatti e di offrire chiarimenti, suggerimenti, spiegazioni, con previsioni ragionevoli, in modo che tutti possano compiere scelte linguistiche più consapevoli. Conoscere meglio come funziona la lingua permetterà di prendere posizione a ragion veduta e aumenterà la capacità di argomentare efficacemente, senza limitarsi a osservazioni come “si è sempre detto così”, “ma con queste espressioni non volevo offendere nessuno”, “non facevo sul serio”, “sono questioni inutili”, “in fondo cosa c’è di male a chiamare una donna ministro”, ecc. ecc. Non si vuole quindi, sia chiaro, fornire un decalogo di comportamento, tanto più considerando quanto la situazione attuale sia variegata e fluida, e si rifugge da ogni intento prescrittivo.[…] Anche nel linguaggio di genere non si vuole e non si può imporre una norma rigida, priva di alternative e oscillazioni. Lo scopo di questo lavoro è illustrare, descrivere, e possibilmente chiarire.
da La sfida dei diritti, anche nella lingua di Cecilia Robustelli
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