National Italian American Foundation: Intervista di Umberto Mucci al Presidente Viola

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(12/06/2013)– Alla vigilia della visita di una delegazione della National Italian American Foundation (NIAF) in Italia, Umberto Mucci – che oggi modererà una conferenza dell’organizzazione all’American University di Trastevere – ha incontrato a Washington il giovane presidente NIAF, John Viola, di soli 29 anni.

Fuori dalla sede NIAF, scrive Mucci sul sito wetheitalians.com, del quale è presidente e fondatore, “ci hanno accolto le due bandiere a noi più care, che simbolizzano ciò che da quasi 40 anni fa la National Italian American Foundation. Parliamo con un presidente di 29 anni e non possiamo non essere curiosi: il paragone con cosa accade in Italia è improponibile. Dobbiamo confessare che rimaniamo affascinati dalla chiarezza del suo pensiero, dalla maturità delle sue idee, dalle prospettive molto interessanti e innovative che certamente verranno dalla sua leadership”.

Riportiamo di seguito il testo integrale dell’intervista.

“D. Presidente Viola, è una piacevole sorpresa per noi italiani vedere una persona così giovane essere nominata in un ruolo di primo piano così prestigioso come il suo nella NIAF: forse è un’abitudine più americana che italiana. Qual è la sua storia?

R. Ottengo la stessa reazione ogni volta che qualcuno viene a trovarmi dall’Italia. Vengo da una famiglia italoamericana molto tradizionale: sono nato nella stessa casa popolare a Brooklyn dove è nato mio padre e dove nacque il padre di mia madre. Le famiglie di entrambi i miei genitori venivano dall’Italia. Sono nato in un quartiere molto italiano, dove mantenevamo un’identità molto forte: mi sentivo molto italiano, con tutta la mia famiglia in casa. I miei genitori hanno portato a termine il loro ciclo di studi, dato vita insieme alle loro aziende e ci siamo trasferiti nella periferia più confortevole dei suburbs: tutta la mia famiglia si trasferì, ma a differenza di prima, dove andammo eravamo gli unici italiani.

Mi sono laureato alla Fordham University, poi ho creato una associazione no-profit a Brooklyn che si occupava di riforma della scuola: io e la mia famiglia abbiamo sempre lavorato per sostenere l’educazione di tipo cattolico. Sono un membro di NIAF da quando avevo quindici anni e un paio di anni fa, quando NIAF iniziò un percorso di cambiamento, capii che ciò poteva coinvolgere anche la leadership e pensai di dare la mia disponibilità, cosciente delle mie possibilità ma anche delle difficoltà. Ho avuto l’opportunità di parlare di fronte al Consiglio di Amministrazione, al quale ho detto che conoscevo bene la NIAF, nella quale ero già coinvolto da molto tempo, e che questa opportunità per me sarebbe stata una missione, non un lavoro. Ho detto chiaramente e onestamente quale fosse la mia visione della NIAF e della nostra comunità e cosa sarebbero potute divenire e penso che le mie idee siano state apprezzate. Così sono stato nominato Chief Operating Officer poco più di un anno fa; poi a marzo la posizione di COO è stata incorporata insieme alla Presidenza e sono stato eletto Presidente. Questa per me è una vera vocazione: il futuro della comunità italoamericana e il futuro dell’Italia sono davvero importanti per me.

Penso che avere un giovane Presidente mostra l’impegno della NIAF nel capire che la nostra comunità si sta evolvendo. Insieme con la generazione dei miei genitori e le generazioni che hanno dato vita alla NIAF, anche gli italiani d’America della mia età sono attivi e da essi arriveranno coloro che supporteranno e saranno il cuore della NIAF per i prossimi decenni a venire.

D. La NIAF è la più importante organizzazione che rappresenta gli americani di origine italiana. Ci dice qualcosa circa le sue origini e sulle attività portate avanti fino ad ora?

R. La NIAF nacque nel 1975, per dare vita a qualcosa di veramente unico nella comunità italoamericana. Nei primi anni Settanta la comunità era a malapena rappresentata da gruppi locali, sia Logge dell’OSIA o Società religiose di mutuo soccorso basate principalmente sul legame con qualche specifica comunità in Italia (anche la mia famiglia è ancora membro della Madonna della Neve Society a Brooklyn). Così un gruppo di italoamericani capì la necessità di una organizzazione centrale, per portare attenzione sul fatto che eravamo un gruppo etnico diviso e sottorappresentato. Per esempio alla Fordham University nel 1970 gli studenti italoamericani erano circa il 60% del totale, ma c’erano solo 6 professori italoamericani. La NIAF fu creata per dare una risposta a questo genere di situazioni, per dare il messaggio che la comunità italaomericana stava prendendo coscienza e si stava unendo, proprio per poter parlare con una sola voce a Washington: non solo per la protezione della comunità in termini di anti-diffamazione, ma anche per sostenere che gli italoamericani venissero nominati nei posti che meritavano, per assicurarsi che fossimo rappresentati – per rimanere in esempio – non solo tra gli studenti, ma anche tra gli accademici. Così nacque la NIAF, per dare leadership a questo gruppo etnico grande e in crescita: ed essendo la nostra visione così lungimirante, iniziammo ad essere contattati da persone che si volevano associare e ci evolvemmo fino a diventare un gruppo nel quale si entra associandosi, con diversi gruppi che si occupano di diversi temi.

Ora facciamo molte cose diverse e stiamo cercando di dare un nuovo focus ai nostri sforzi. Prima di tutto ci sono le nostre borse di studio e i nostri sussidi. Vogliamo fare in modo che ai giovani italoamericani sia data la possibilità di beneficiare dei successi raggiunti dalla nostra comunità. Inoltre, insieme con il denaro per sostenere l’istruzione, stiamo anche lavorando per offrire stage e opportunità di lavoro, al fine di mettere a disposizione delle nuove generazioni italoamericane quanto raggiunto dal meraviglioso network formato dalle generazioni di italoamericani che le hanno precedute. Le borse di studio sono molto importanti e i nostri progetti ne prevedono di diversi tipi. Abbiamo poi il nostro programma di viaggio intitolato all’ambasciatore Peter F. Secchia, che finanzia completamente giovani italoamericani che per la prima volta partono alla scoperta dell’Italia. Teniamo poi rapporti molto stretti con la delegazione italoamericana al Congresso degli Stati Uniti e, ancora più importante, contribuiamo a mantenere stretti i rapporti tra Italia e USA. Siamo sempre stati e ancora oggi siamo un ponte sull’oceano.

Penso che in futuro dovremo lavorare per incrementare il business tra italiani e italoamericani: vogliamo che gli italiani, in qualunque parte del mondo si trovino, abbiano l’opportunità di lavorare insieme per un futuro migliore.

D. Che cosa significa per la comunità italoamericana il fatto che la NIAF dia un così importante segnale di innovazione e di radicale cambiamento con una giovane leadership come la sua? Come vede il futuro per la NIAF?

R. Mi auguro che questo significhi che tutta la nostra comunità è in evoluzione. Quello che voglio dire è che sono stato eletto con un programma molto chiaro e onesto: il mio obiettivo è quello di migliorare la collaborazione e la comunicazione con gli altri gruppi italoamericani. Naturalmente questo è difficile, ma penso che sia quello che dobbiamo fare. Non credo che noi, come comunità, sopravvivremo se continueremo ad essere divisi in troppi gruppi. Lei stesso dimostra sul portale www.wetheitalians.com quanto sia alto il numero dei gruppi esistenti. Noi siamo una comunità unica: sono pochissimi in questo Paese gli altri gruppi etnici che hanno una partecipazione così forte dal basso e una identità così ben definita. Abbiamo avuto 18 milioni di persone che sul modulo del censimento hanno espressamente scritto che sono italoamericane. Questa è una incredibile testimonianza di quanto ci sentiamo italiani, di quanto ci identifichiamo con chi siamo. E un’altra manifestazione di questa forte italianità è l’alto numero di gruppi di persone che hanno deciso di stare insieme perché le accomuna la loro provenienza: per celebrarla, per condividerla, per preservarla. Questo è meraviglioso: ma nel 2013 e in futuro ho paura che saranno sempre di meno coloro che ricorderanno di aver passato la domenica in casa dei nonni con tutta la famiglia italiana, parlando italiano, ascoltando musica italiana, con la sensazione di “tornare in Italia” ogni domenica. Questa cosa è destinata a scomparire e con essa anche il numero dei gruppi di persone che con questo ricordo si riuniscono.

Quindi penso che ci sia un forte bisogno di un soggetto di portata nazionale per mantenere la nostra comunità unita. Ai giovani ragazzi che si sentono italiani non crea problemi ridurre il numero di gruppi che rappresentano l’italianità, soprattutto se il cambiamento significa agire di più con un senso di comunità. Nessuno dei miei amici italoamericani chiede ad un altro amico se faccia parte della NIAF, o dell’OSIA, o di UNICO: siamo italiani, vogliamo celebrare la nostra italianità insieme, in qualche luogo e la NIAF può essere quel luogo. Non vogliamo escludere gli altri gruppi, vogliamo celebrare quello che fanno, ma non dobbiamo sprecare denaro, tempo e risorse della comunità cercando di fare le stesse cose. Il messaggio importante che voglio sottolineare è questo: possiamo fare molto di più. In Italia e in ogni comunità che c’è qui, da chi è di quarta o di quinta generazione a coloro che sono arrivati dall’Italia la scorsa settimana, dovremmo pensare in termini di un gruppo etnico, sapere di essere una diaspora, i rami di un albero: questo è ciò che fanno gli afroamericani, è quello che fa la comunità ebraica, lo fanno anche i cinesi in tutto il mondo. E questo è un mondo globale: quando verremo fuori da questa crisi, molte cose saranno diverse. Dobbiamo smettere di guardare all’Italia come una penisola a forma di stivale di 60 milioni di abitanti che ha inviato persone che hanno creato comunità ovunque e cominciare a pensare l’Italia come 200 milioni di persone in tutto il mondo, la maggior parte di loro consapevoli di essere italiani. Siamo in grado di fare affari insieme, scambiarci idee ed educarci reciprocamente, se pensiamo a noi stessi come 200 milioni di italiani, ben integrati ognuno nel Paese in cui vive, parlando più lingue, impegnati in tutti i tipi di imprese e di industrie, e che ricoprono i posti di lavoro più alti ovunque siamo. E tutto questo mentre ancora ci sentiamo tutti profondamente italiani! Credo sia quindi una responsabilità italiana quella di riunire questa sorta di impronta globale che abbiamo e di farlo in un mondo dove forse le nazioni non saranno così importanti come lo erano prima. In quel mondo, l’Italia ha un vantaggio: la cittadinanza. Noi italiani siamo uno dei pochi Paesi al mondo a riconoscere che la cittadinanza è qualcosa con cui si nasce: si può essere un cittadino italiano e vivere qui negli Stati Uniti, o in Argentina o in Australia, e poi tornare e riprendere contatto con l’Italia. Questo è un pensiero molto avanzato e innovativo e si sposa bene con un mondo globalizzato.

D. Internet è una grande opportunità per unire meglio la comunità italoamericana, che è presente in tutti e 50 gli Stati. Per la NIAF il web può anche essere un fondamentale strumento per la comunicazione e la condivisione con, da e verso l’Italia. Quali sono i vostri progetti in questo senso?

R. Stiamo lavorando per migliorare la nostra presenza su Internet e sui social media: stiamo drasticamente modificando il nostro sito web, www.niaf.org. Stiamo spostando molte delle nostre risorse nella sezione dedicata ai nostri associati, perché vogliamo favorire le adesioni. L’adesione alla NIAF al livello di associato costa 50 dollari l’anno e noi pensiamo che non sia affatto alta, considerato quello che offriamo: sconti, ricerche genealogiche, viaggi, la nostra rivista e altri benefici. Ma, ancora più importante, noi pensiamo che diventando un membro della NIAF si investa nella comunità, nei nostri programmi, nelle nostre borse di studio e nel desiderio di rimanere in contatto. Per noi, quando le persone si impegnano a far parte delle nostre attività, si stanno impegnando a mantenere vivo il loro patrimonio di provenienza e di origine, ora e in futuro. Il web è un ottimo aiuto per fare questo.

D. Qui a Roma non sembrano molti coloro interessati alle molte cose importanti che i nostri connazionali che vivono all’estero rappresentano e all’aiuto – perché no, a volte anche all’esempio – che possono costituire per chi è in Italia. Da questo punto di vista, è possibile immaginare una presenza ancora più concreta della NIAF in Italia?

R. Stiamo lavorando attivamente su come la NIAF è presente in Italia a tempo pieno. Come ho detto prima, negli Stati Uniti ci sono, purtroppo, sempre meno quartieri italiani in cui tornare e quasi sentirsi a casa: così, al fine di mantenere viva la nostra precisa cultura, è in Italia che dobbiamo trovare la fonte per rinnovare la nostra italianità. In un certo senso, in un mondo globalizzato, le culture possono riunirsi dopo molte generazioni in cui sono state distanti: e siamo in grado di costruire insieme una nuova cultura globale italiana, più forte che mai.

D. Può dire forte e chiaro una volta per tutte agli italiani che ci leggono – e chi meglio di lei può farlo – che quei presunti stereotipi dei giovani italoamericani suggeriti da volgari spettacoli televisivi come Jersey Shore non sono in alcun modo rappresentativi della comunità dei giovani italoamericani? Le chiediamo una parola anche circa i personaggi mafiosi creati dal mondo della fiction …

R. Prima di tutto, spero bene che gli italiani non credano al fatto che quei personaggi siano i rappresentanti di 20 milioni di italoamericani. Ogni italiano che si reca negli Stati Uniti può facilmente capire che non è affatto così. Noi siamo uno dei gruppi etnici più istruito e più economicamente di successo in questo Paese. Siamo in ogni business, in ogni campo della società, la maggior parte di noi è ormai parte della classe media o al di sopra. Gli stereotipi si basano su una frazione dell’uno per cento della nostra comunità.

Francamente, non mi va di spendere molto tempo o risorse, durante il mio mandato, combattendo gli stereotipi. Prima di tutto, perché quando spendo soldi, guardo a questi come ai soldi della comunità. Quando qualcuno dona alla NIAF, è consapevole che noi non curiamo malattie, non stiamo risolvendo la fame nel mondo … quindi, non cercano quel tipo di risultato. Chi dona alla NIAF lo fa perché si preoccupa di quello che succede nella nostra comunità: e non mi sento di usare i loro soldi per lamentarci di quello che non siamo. Invece, credo che sia molto meglio presentare ciò che siamo. D’altronde, Jersey Shore è un goffo, stupido ritratto di un gruppo di persone: molti di loro non sono nemmeno italiani. Ma i Soprano, e i film di mafia … quella è una parte della nostra storia qui. E’ qualcosa che ha uno sfondo sociologico ben preciso: i problemi per l’unificazione dell’Italia, che portarono gravi problemi sociali al sud, nel quale ha origine l’80 % delle famiglie della nostra comunità odierna. Non possiamo far finta che non esistano queste cose. Purtroppo è diventato un genere di narrazione, più che altro una parodia, che racconta solo una parte minuscola della nostra storia qui. Ma sono sicuro di un’altra cosa: una parte del motivo per cui io posso avere una posizione così aperta e libera su queste cose sta nel fatto che la generazione che è venuta prima della mia ha lottato davvero molto per essere accettata, per abbattere barriere reali e forti. Mi ricordo che quando ci trasferimmo nei suburbs perché mio padre ebbe successo, sembrava che tutti pensassero che potevamo farlo perché eravamo mafiosi. Non fu facile: ma, allo stesso tempo, proprio poiché la generazione dei miei genitori ha lottato duramente, quando ho dovuto iscrivermi all’università da italiano non ho trovato alcuna barriera. Ho visto i miei nonni e i miei genitori combattere per questo, e sono davvero grato per quello che hanno fatto loro e le loro generazioni: staremmo ancora combattendo quella battaglia, se non fosse stato per loro.

D. In conclusione, perché pensa che l’amicizia tra Italia e Stati Uniti sia così forte e che cosa si può fare per rafforzarla ulteriormente?

R. Credo che almeno una parte del merito vada alla nostra comunità italoamericana. L’Italia è sempre stata tra i più stretti alleati negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale: un incomparabile alleato militare e un attivo partner commerciale. Il popolo americano ama il Made in Italy, che ha un grande riconoscimento e apprezzamento negli Stati Uniti. Ma penso anche che per anni ci sono stati italiani che sono andati avanti e indietro tra i due Paesi, e questo ha stimolato tantissimo la trasmissione e la contaminazione di idee. La nostra comunità ha fatto sicuramente la sua parte. Per esempio, dopo la guerra, per aiutare la democrazia da qui in Italia, a spingere per estendere il Piano Marshall anche all’Italia; donando a UNRRA e facendo molti sforzi per aiutare la popolazione italiana provata da anni di guerra molto duri. Come abbiamo fatto anche nei primi anni novanta, quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite stava per essere allargato, ma senza includere l’Italia: evitandone l’emarginazione la nostra comunità ha combattuto a favore dell’Italia. Meglio: ha combattuto per conto dell’Italia. Quindi siamo qui per rappresentare il legame tra i due Paesi, e vogliamo davvero che gli italiani che vivono in Italia ci vedano come una preziosa parte del corpo che contribuisce a formare il popolo italiano. Tutto ciò ha un senso ben preciso: perché se decine di milioni di persone nel corso di un periodo di 40/50 anni si sono trasferiti in alcuni luoghi di tutto il mondo, l’Italia ha perso qualcosa, anzi un intero segmento della popolazione. Noi siamo i figli di quel segmento e sentiamo che l’Italia ridiventa una se ci riuniamo a coloro che in Italia sono rimasti. Ci sentiamo ancora italiani.

[John M. Viola sarà, insieme al Chairman Joseph V. Del Raso e alla presenza dell’intero board della NIAF, tra i protagonisti della conferenza che si terrà martedì 11 giugno alle 15 presso The American University of Rome, nel loro bell’auditorium al Gianicolo. We the Italians è tra gli organizzatori e chi scrive avrà l’onore di moderare l’incontro: sarà un’altra occasione per ascoltare il pensiero di questo giovane leader italiano, del quale siamo sicuri sentiremo parlare molto a lungo, e che ringraziamo molto per la sua disponibilità]”. (aise)

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