L’uso delle lingue nelle istituzioni UE: parte la consultazione pubblica della Mediatrice europea

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(10/09/2018) La lingua è la componente essenziale del nostro modo di comunicare. L’Unione europea, con 28 Stati membri, 24 lingue ufficiali e più di 500 milioni di cittadini, si impegna a rispettare e salvaguardare la diversità linguistica quale parte del suo patrimonio culturale. Questo impegno è previsto in particolare dall’articolo 3, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea e dagli articoli 21 e 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Le lingue utilizzate dalle istituzioni dell’UE nella comunicazione con il pubblico rivestono pertanto notevole importanza. Proprio per questo motivo, i trattati e la legislazione europea sanciscono alcuni diritti. In particolare, l’articolo 20, paragrafo 2 e l’articolo 24 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e l’articolo 41, paragrafo 4, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE stabiliscono che i cittadini dell’UE hanno il diritto di scrivere a qualunque istituzione dell’UE in una qualsiasi delle lingue ufficiali e di ricevere una risposta in quella stessa lingua.
Comunicando nelle lingue scelte dai cittadini, l’Unione europea dimostra che tutti i cittadini hanno pari dignità, indipendentemente dal numero dei parlanti o dal prestigio di una determinata lingua.
Inoltre, poiché l’Unione europea adotta atti legislativi direttamente vincolanti per i suoi cittadini, tutta la legislazione dell’UE deve essere pubblicata in tutte le lingue ufficiali, in modo che il pubblico abbia maggiori possibilità di comprendere le leggi a cui è soggetto: è quanto stabilito dal primissimo atto legislativo dell’allora Comunità economica europea, il regolamento n. 1 del 1958.
Al di fuori di questi casi specifici, che riguardano la corrispondenza e la legislazione e configurano precisi obblighi giuridici, le istituzioni dell’UE dispongono di un certo margine discrezionale nella scelta delle lingue da utilizzare in situazioni specifiche. Il modo in cui esercitano tale discrezionalità è una questione di buona amministrazione.
Nel corso degli anni il numero di lingue ufficiali è cresciuto, passando dalle 4 del 1958 alle attuali 24.
Ciò pone una serie di difficoltà pratiche, come l’aumento dei costi di traduzione, la lentezza del processo decisionale e le discrepanze tra le versioni linguistiche. La questione è quindi come conciliare diversità linguistica e uguaglianza con l’efficienza amministrativa e i vincoli di bilancio.
Poiché molti cittadini dell’UE parlano un’unica lingua ufficiale (o un numero ristretto di lingue ufficiali), le limitazioni all’uso delle lingue ufficiali riducono la capacità dei cittadini di interagire con le istituzioni dell’UE.
È importante garantire che eventuali limitazioni all’uso delle lingue siano proporzionate ed eque. Le istituzioni e gli organismi dell’UE dovrebbero, ad esempio, esaminare attentamente le situazioni in cui è accettabile comunicare o svolgere attività in una sola lingua o in un numero ristretto di lingue ufficiali.
Negli ultimi anni la Mediatrice europea, Emily O’Reilly, ha condotto indagini sulle politiche linguistiche di singole istituzioni dell’UE, giungendo alla conclusione che le istituzioni possono legittimamente limitare l’uso delle lingue in comunicazioni e documenti interni. Un’altra conclusione è stata che è possibile limitare l’uso delle lingue nelle procedure amministrative con interlocutori esterni, come le gare d’appalto e gli inviti a presentare proposte, in cui l’UE interagisce con un gruppo limitato di parti interessate.
Tuttavia, la Mediatrice rileva che vi è una notevole incoerenza tra le istituzioni: ove esistenti, le restrizioni linguistiche e le eventuali regole in materia variano da un’istituzione all’altra. In assenza di regole chiare e di giustificazioni adeguate, non c’è da stupirsi se il pubblico poi possa sentirsi confuso.
Un ambito particolarmente problematico riguarda l’uso delle lingue sui siti web delle istituzioni, che sono fra le principali fonti di informazione per le persone interessate alle politiche e ai programmi dell’UE: ciascuna istituzione dell’UE decide autonomamente se tradurre il proprio sito web o parti di esso e in quali lingue. Se i siti web non sono disponibili in tutte le lingue ufficiali, per gran parte dei cittadini potrebbe essere difficile o impossibile accedere alle informazioni.
Un altro ambito problematico riguarda le consultazioni pubbliche, che servono a raccogliere le osservazioni dei cittadini sulle nuove politiche o su eventuali proposte legislative. Le restrizioni linguistiche in questo caso rischiano di limitare in modo significativo la capacità dei comuni cittadini di contribuire alle consultazioni.
Per questo, la Mediatrice europea ha indetto una consultazione pubblica per promuovere una discussione su come le istituzioni dell’Unione europea possano comunicare al meglio con il pubblico, conciliando la necessità di rispettare e favorire la diversità linguistica con i vincoli amministrativi e di bilancio.
Poiché il tema interessa tutti i cittadini, tutti sono invitati a contribuire entro il 30 settembre 2018.
Per accedere al questionario proposto dalla Mediatrice e formulare le proprie osservazioni basta cliccare qui.
IL MEDIATORE EUROPEO
Il Mediatore europeo è un organo indipendente e imparziale che chiama le istituzioni e le agenzie dell’UE a rispondere del loro operato e promuove la buona amministrazione, indagando sulle denunce relative a casi di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni e degli organismi dell’UE, ma anche esaminando in modo proattivo questioni strategiche di natura più generale. Il Mediatore svolge, su propria iniziativa, indagini strategiche che mirano a richiamare l’attenzione su aspetti di interesse pubblico e a esaminare più ampie problematiche di sistema, che riguardano le istituzioni dell’UE e il processo decisionale democratico.
Il Mediatore è eletto dopo ogni elezione del Parlamento europeo per la durata della legislatura. Il suo mandato è rinnovabile.
L’attuale Mediatrice europea è Emily O’Reilly, eletta una prima volta nel 2013, a fine legislatura, e poi rieletta nel dicembre 2014 per un mandato quinquennale. (aise) 

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