L’italiano, un capolavoro da tutelare

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(19/09/2014) Pubblichiamo l’intervista del quotidiano online L’Indro ad Alessandro Masi, dal 1999 Segretario generale della Dante.

L’italiano, un capolavoro da tutelare
di Annamaria Barbato Ricci

Un’azione capillare per valorizzare la nostra lingua nel mondo. Parla Alessandro Masi della Società Dante Alighieri

Una lingua capolavoro, sonora, armoniosa, cantabile. E’ la nostra, l’italiano. Purtroppo per lei, come le tante cose che ci sono familiari – fra tutti, il patrimonio artistico, i musei, i siti archeologici – la trattiamo con poca cura, mentre all’estero ce la invidiano, la studiano, la osannano.
Fra le isole felici della lingua (Istituzioni illustri e togate come l’Accademia della Crusca, l’Accademia dei Lincei, l’Istituto dell’Enciclopedia italiana – Treccani) la Società Dante Alighieri (SDA), dalla prestigiosa sede di Piazza di Firenze a Roma, combatte sul duplice fronte, interno ed esterno. Ovvero operando con centri in Italia (90 Comitati) e sparsi in 423 sedi diffuse per l’orbe terracqueo, dalla Terra del Fuoco all’Australia e al Vietnam. E se la lingua è un capolavoro (antico, ma anche contemporaneo), occorre che lo stratega al timone sia una personalità usa a maneggiare opere d’arte.
Dal 1999 è Segretario Generale della Dante – come la SDA viene denominata fra gli addetti ai lavori – il professor Alessandro Masi, con un curriculum robusto – correrei il rischio di risucchiare mezzo articolo con le sue esperienze – e grande disponibilità e duttilità a esplorare nuovi modalità per raggiungere, grazie a una struttura complessa e di ‘multiforme ingegno’ com’è la Dante, l’obiettivo supremo di sostenere la diffusione della lingua e della cultura italiane.
L’incontro appena alla ripresa post vacanze, onorandomi la promessa di un’intervista fattami il giorno precedente allo ‘scoppio’ delle ferie. Un’efficienza con cui ho avuto scarsa dimostrazione, in altre realtà istituzionali.
Lo studio è bellissimo, ogni centimetro zeppo di libri, memorabilia, opere e operine d’arte. Già a varcarne la soglia ci si sente ispirati. Ed essere accolti con sorridente affabilità fa sciogliere immediatamente il ghiaccio.

Professor Masi, può diagnosticarci lo stato di salute dell’italiano?
Non certo florido. E si cerca sempre il responsabile di questa patologia. Si è diffuso una sorta di processo ai new media, una caccia alle streghe che li taccia di contribuire a picconare la lingua italiana, depauperandola.
Ebbene, recentemente, la professoressa Valeria della Valle, associata di Linguistica Italiana all’Università di Roma La Sapienza, ha sostenuto che le forme di linguaggio legate a internet e alla telefonia rappresentano un valore aggiunto nel processo evolutivo di una lingua, e non certo la causa di un suo degrado.
E se proprio bisogna cercare un motivo del suo impoverimento, ciò, secondo la professoressa della Valle, non è nello sviluppo dei new media, quanto in alcuni significativi fattori legati alla formazione scolastica e ai processi di alfabetizzazione. Sono assolutamente d’accordo con lei che è fine osservatrice dell’evoluzione linguistica. O dell’involuzione visto che l’italiano, allo stato attuale, sembra avere più buchi del Colosseo.

Ad ognuno il suo Della Valle, quindi… All’estero, però, la nostra lingua è apprezzata.
E’ la quarta fra le più studiate e la 21.ma fra le parlate d’uso, guidando tale classifica l’inglese, quello che Tullio De Mauro ha definito globish nel suo ‘Dizionarietto delle parole del futuro’ del 2006. L’italiano è, invece, nelle prime posizioni fra le lingue di cultura, per motivi lampanti: è la lingua per lo studio del Rinascimento, periodo aureo che accende un’attrazione ‘fatale’ nei cittadini di tutto il mondo; ma è anche l’idioma dell’arte, del design, della musica, laddove i libretti dei grandi dell’opera lirica sono studiati nei Conservatori e nelle scuole di musica dell’intero pianeta. Diffusore dell’italiano è anche il buon cibo e l’ottimo bere: non solo ‘pizza’ e ‘spaghetti’, ma anche ‘parmigiano’, ‘pelati’, ‘Chianti’, ‘Prosecco’.

Dunque, riusciamo a rimanere a galla. Ma c’è una lingua che sta perdendo colpi?
Certamente il francese, malgrado lo Stato, per sostenerne in alleanza con privati lo studio all’estero (non a caso si è chiamata l’Istituzione preposta Alliance Française), investa risorse ben superiori all’Italia per l’italiano. I finanziamenti che arrivano all’Istituto Cervantes per sostenere lo spagnolo sono, invece, tutti statali.

Perché uno Stato deve sostenere la diffusione della propria lingua?
Innanzitutto, per considerazioni economiche, che, ormai sono quelle prevalenti e verso le quali i governanti sono più sensibili. Una lingua non è un’entità a sé, avulsa dalla realtà. Se la parola Parmigiano, con tutti i crismi di autenticità che reca in sé, veicola l’autentico prodotto italiano nel mondo, sbugiardando il suo plagio, ovvero il Parmesan, il sistema Paese ci guadagna; così come ha vantaggi a promuovere il Chianti, vanto della nostra enologia e ben altra cosa rispetto all’orribile miscuglio di acqua e cartine che alcuni produttori locali, in Paesi stranieri, contrabbandano per tale, con un’etichetta dal nome storpiato.
Il sostegno al made in Italy, dunque, parte proprio dalla tutela della lingua; anche se l’aria che tira, con tutte le temperie economiche e le problematiche del lavoro, mette in secondo piano qualsiasi azione culturale.

Conviene, dunque, all’estero, imparare l’italiano…
Non v’è dubbio, e occorre farlo secondo metodi eccellenti come il nostro. Offriamo un ventaglio completo di apprendimento, un vero e proprio sistema didattico, che rispetta i 6 livelli di apprendimento previsti dal Consiglio d’Europa. Nessun’altra istituzione dedicata allo studio di una lingua all’estero lo possiede ed il punto di approdo degli sforzi di quattro anni di lavoro di esimi glottodidatti e linguisti che si sostanzia nel cosiddetto A.D.A (Attestato Dante Alighieri).
Siamo portatori di una completa rivoluzione che omogeneizza un sistema didattico in tutto il mondo, dalla Terra del Fuoco a Vladivostok. Si parte dai rudimenti, quelli utili alla sopravvivenza in terra italofona, (A1 e A2), si passa per stadi intermedi (B1 e B2) per approdare alla disinvoltura dei madrelingua, con C1 e C2; quest’ultimo è l’italiano che stiamo parlando noi.
(Penso, da intervistatrice dotata di un granello di sale nella zucca, che qui, in questo studio accogliente e attraente, siamo in un atollo privilegiato, fra persone favorite dal destino che ha concesso loro di avere un buon imprinting di partenza e di saper assorbire le giuste sollecitazioni linguistiche e culturali, captandole e cernendole dalle tante da cui sono stati ‘bombardati’ sin dall’età prescolare. Ma non desidero interrompere col mio pessimismo cosmico il mio interlocutore).
Ad esempio, gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti Cinese che stanno frequentando i nostri corsi desiderano conquistarsi un livello B1 – B2; molti professionisti, invece, vogliono il C1.

Secondo lei, professor Masi: gli italiani parlano il C2?
Troppi, purtroppo, no. Ne è un esempio la strage dell’innocente congiuntivo. Sarà semplificante ignorarlo, eppure, questo modo verbale è indispensabile affinché una lingua scritta e parlata sia molto più elegante. Ogni abolizione sintattica che depaupera una lingua si traduce in uno sbriciolamento che può sembrare innocuo, ma che, in realtà, rappresenta l’inizio di una catastrofe linguistica. Certo, una lingua non può ibernarsi, né imporsi per Decreto Legge; deve rimanere viva, purché nell’alveo delle regole grammaticali e sintattiche. Tullio De Mauro ha ragione a segnalare che ci troviamo di fronte ad un analfabetismo di ritorno. Si riscontrano con sconcerto, pure nell’Italia più industrializzata e moderna, sacche di analfabetismo scolastico; anzi, in alcune zone, specie del Mezzogiorno, si sfiora il 50%. Questo in chi va ancora a scuola, anche alle superiori; non parliamo, poi, del fenomeno sempre più ricorrente dell’abbandono scolastico…

Quali le proposte per fronteggiare questa situazione così allarmante?
Ci sarebbe bisogno di una coscienza civile più vigile, che sia sensibilizzata riguardo all’importanza della triade lingua/cultura-educazione/sviluppo della società. La Dante Alighieri ha tutti gli strumenti didattico-culturali per contribuire attivamente all’innesco di questo circolo virtuoso che sviluppi l’amore verso l’italiano anche negli italiani. Soltanto il nostro impegno e il nostro entusiasmo, contagiato in migliaia di soci volontari, dalla Terra del Fuoco a Vladivostok, ci permette di tenere alta la bandiera della nostra lingua e di non fermarci mai nelle azioni di promozione e diffusione.

Naturalmente, nozze coi fichi secchi…
Non può negarsi che le difficoltà economiche si sono accresciute con la cosiddetta ‘spending review’, ovvero, per dirla usando l’italiano, per i tagli ai finanziamenti pubblici alla cultura.
Il che, per noi, ha significato la riduzione dell’84% dei contributi statali. Attualmente, siamo a quota 500mila euro: una somma irrisoria rispetto al numero di sedi, in Italia e all’estero, a cui vanno ad aggiungersi, sia pure con una minuscola dotazione, 19 Parchi letterari. Occorre lavorare di fantasia e di dedizione per portare avanti la nostra missione… Per dirla col nostro eponimo:: ‘Qui si parrà la tua nobilitate’…

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