L’influenza dei media italiani sul sistema televisivo albanese

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(26/07/2014) Vi proponiamo un’ampia sintesi dell’interessante saggio di Paolo Carelli, Dottore di Ricerca presso Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Milano, pubblicato sulla rivista online “VIEW – Journal of European Television History and Culture”, all’interno di un numero dedicato alla televisione nei paesi ex comunisti.
Il saggio è incentrato sui meccanismi di relazione e interazione tra tv italiana e tv albanese dall’89 ad oggi e cerca di dimostrare come la tv albanese in questi anni abbia assunto i tratti di quella italiana in termini di contenuti, format, struttura culturale ed economica.

Con la caduta del Muro di Berlino e la fine dei regimi comunisti nel 1989, molti Paesi dell’Europa centro-orientale intrapresero profondi percorsi di trasformazione politica, istituzionale, economica e sociale avviandosi lungo la strada – spesso tortuosa e non priva di insidie – della transizione alla democrazia. Il sistema dei media, come molti altri aspetti della vita sociale e culturale, non fu esente da questo processo e si trovò presto coinvolto nel passaggio da un modello autoritario fondato sull’esistenza di mezzi di comunicazione controllati dallo Stato (e dai ‘partiti unici’ dominanti nei singoli Paesi) ad uno orientato al pluralismo e aperto al mercato e alle libere iniziative commerciali.  Tuttavia, questa trasformazione non avvenne in maniera univoca e uniforme, bensì si trovò a riflettere le differenti specificità nazionali riproducendo – di fatto – le modalità con cui i singoli regimi avevano operato ed esercitato il proprio potere nei confronti delle popolazioni.

Attrazione fatale per l’Italian way of life
Un caso emblematico è rappresentato in questo senso dall’Albania, un Paese che per via delle scelte isolazioniste del regime di Enver Hohxa, era divenuto il più povero, arretrato e reazionario dell’intero blocco comunista1. Durante il periodo più sanguinario e repressivo della dittatura, esisteva un solo canale televisivo (sotto stretto controllo dello Stato) che trasmetteva solamente per circa quattro ore al giorno con un palinsesto composto prevalentemente da documentari e propaganda di supporto al regime2. A partire dalla fine degli anni Settanta – e poi in maniera più strutturata dall’inizio degli anni Ottanta – il regime avviò un processo di graduale inserimento di contenuti mediali provenienti dall’Occidente, in particolare dall’Italia: la tv di Stato albanese cominciò a trasmettere il telegiornale di Rai 1 alle ore 20, spostando la collocazione delle informazioni nazionali proprio per permettere la ricezione e la fruizione del tg del principale canale del servizio pubblico italiano. Questa parziale e limitata concessione da parte del regime aprì la porta all’ingresso della tv e della cultura italiane nella quotidianità della popolazione albanese, contribuendo a costruire un nuovo immaginario, in particolar modo presso le giovani generazioni. Verso il finire del decennio, morto Hoxha e con un intero sistema ormai sull’orlo del collasso, la ricerca di contenuti e programmi della tv italiana divenne sempre più costante e ossessiva, anche in contrasto rispetto alle restrizioni imposte dalla dittatura; in particolare sulla costa adriatica, dove si trovavano le città e le aree più popolose e ricche del Paese, migliaia di albanesi cominciarono a ricevere illegalmente le frequenze della tv italiana utilizzando piccoli espedienti tecnici come il canoçe, una sorta di piccolo barattolo collegato con dei transistor. L’attrazione verso l’Italian way of life passava anche dalla scoperta del colore, propagato dai canali pubblici e commerciali della televisione italiana, in aperto contrasto con le immagini in bianco e nero della propaganda comunista. Due studiosi come Russell King e Nicola Mai3 hanno evidenziato che il ruolo dei media italiani durante gli ultimi anni del regime ha giocato almeno quattro effetti chiave:
– ha funzionato come antidoto contro l’isolamento voluto da Hoxha, guidando la popolazione albanese verso un sogno di libertà e materialismo che non aveva mai avuto l’occasione di conoscere;
– ha giocato un ruolo sovversivo, dal momento che la visione dei programmi italiani (e occidentali) minava la struttura identitaria e collettiva della società introducendo una visione individualista della vita;
– diede ai giovani albanesi un nuovo status sociale orientato a gusti, messaggi e aspirazioni tipicamente occidentali;
– favorì il desiderio di emigrare in cerca di ricchezza e benessere.

Dipendenza culturale e di sistema
La dipendenza dai canoni e ai linguaggi di quella italiana appare evidente anche osservando i primi programmi andati in onda sulle nascenti emittenti private albanesi; fino a metà degli anni Novanta, infatti, a differenza di quel che accadde nella maggior parte dei Paesi ex-comunisti, il sistema televisivo albanese rimase sostanzialmente dominato da Television Shiqptare (TVSH), la vecchia tv di Stato che continuò a rappresentare l’unica voce d’informazione, peraltro legata ai partiti di governo. Solo a partire dal 1995, il sistema televisivo albanese entrò in una fase di profonda trasformazione, caratterizzata dall’esplosione di centinaia di piccole emittenti private, circolanti su piccole aree, di vicinato, legate a piccole imprese commerciali, secondo un fenomeno di televisione ‘fatta in casa’ difficile da controllare e regolamentare; un processo che, per certi versi, ha ricalcato l’esperienza delle tv locali italiane degli anni ’70, che nel tempo condusse alla fine del monopolio del servizio pubblico e all’instaurazione di un ‘sistema duale’. Alcune trasmissioni tipiche della prima ondata televisiva albanese erano costruite sulla falsariga di successi italiani: Memgjes i mbar (‘Buon giorno’), un programma mattutino simile a Unomattina, su Teuta Tv, o Process Sportif (‘Processo sportivo’), riproduzione de Il Processo del Lunedì, talk-show di approfondimento sportivo.

Italianizzazione a tre velocità
Nel corso degli anni, il processo di ‘italianizzazione’ della tv albanese si è consolidato e articolato in maniera sempre più complessa. Ricostruendo l’evoluzione e trasformazione delle relazioni instauratesi tra i due Paesi a livello di contenuti e sperimentazioni televisive, è possibile individuare almeno tre tipi diversi di ‘italianizzazione’, che non corrispondono a determinati periodi storici, ma piuttosto s’intrecciano e coprono l’intero arco dei 25 anni dalla fine della dittatura e di transizione verso la democrazia. La prima tipologia è quella che possiamo chiamare ‘italianizzazione sottile’, un silenzioso processo di adattamento di format e linguaggi italiani; oltre alle trasmissioni già citate, vale la pena sottolineare Fiks Fare, un tg satirico in onda dal 2002 su TopChannel, che ricalca in tutto e per tutto l’omologo Striscia la Notizia, con tanto di veline (così chiamate anche in Albania), stacchetti e servizi d’inchiesta e denuncia. Quella per Striscia la Notizia è peraltro un’infatuazione antica come dimostrano diversi analoghi tentativi delle prime tv commerciali sorte nel Paese. Recentemente, sono nate decine di programmi che nel format e finanche nella scenografia appaiono come fedeli trasposizioni di successi italiani: Portokalli (su TopChannel) è una copia di Zelig; Vizioni i pasdites (su Vizion Plus) è la riproduzione de La vita in diretta; Opinion (su Tv Klan) ricalca il Porta a Porta di Rai 1.
La seconda tipologia consiste in una ‘italianizzazione condivisa’: si tratta di una fase in cui sono prevalsi progetti e sperimentazioni di scambio e cooperazione televisiva tra i due Paesi, avvenuta principalmente attraverso l’inserimento nei palinsesti albanesi di trasmissioni in onda sulle reti italiane. In questo senso, il primo e più emblematico caso è rappresentato da una storica puntata di Linea Verde, il magazine di agricoltura della Rai, in onda da Tirana nella primavera del 1990: quando la troupe guidata da Federico Fazzuoli e dal regista albanese Gjon Kolndrekaj (che lavorava in Italia da anni) entrò nella capitale, tutti i televisori della nazione balcanica erano sintonizzati sul primo canale pubblico italiano per quello che ancora oggi viene ricordato come un grande successo dell’offerta televisiva albanese4. Altri esempi di ‘italianizzazione condivisa’ hanno riguardato l’esperienza di Telenorba Shiqptare (attiva dal 1998 al 2010), versione albanese di Telenorba, una tv locale pugliese, oppure la realizzazione di un telegiornale in lingua albanese con sottotitoli in italiano che a partire dal 1997 venne trasmesso per alcuni anni su Rai 3 dal servizio regionale pugliese e condotto dalla giornalista albanese Alba Malltezi.
Infine, la terza tipologia individuata è quella di una ‘italianizzazione quasi-coloniale’, secondo un termine utilizzato dallo studioso Heinz H. Fabris5 per descrivere il processo di apertura a Est delle industrie mediali occidentali all’indomani della caduta dei regimi. Negli ultimi anni, l’Albania televisiva è diventata ‘terra di conquista’ di produttori, imprenditori televisivi e persino presentatori italiani; l’esempio più evidente è quello di Agon Channel, network fondato da Francesco Becchetti che ha acquisito prima l’ex conduttore di Matrix Alessio Vinci come direttore di testata e poi scritturato Barbara D’Urso, divenuta subito popolare in Albania, per la guida di programmi simili a quelli condotti in Italia, come Kontrata për Shqiperinë  con la presenza tra gli ospiti di politici italiani e albanesi chiamati a confrontarsi. Il processo di ‘colonizzazione’ della tv albanese attraverso la presenza di professionisti (e investimenti) italiani è solo all’inizio e molti elementi fanno pensare che presto altri volti del piccolo schermo sceglieranno di attraversare l’Adriatico per fare televisione in un Paese che guarda all’Italia come un modello da imitare. Oggi proprio come 25 anni fa.

1        Bülent Gökay, L’Europa orientale dal 1970 ad oggi, Il Mulino, 2005.
2     Roberto Gritti, Postcomunismo e media, Meltemi, 2001.
3     Russell King and Nicola Mai, Out of Albania: From Crisis Migration to Social Inclusion in      Italy, Berghan Books, 2008
4     Episodio raccontato magistralmente da Ylli Polovina in RAI e Albania: una grande presenza      nella storia di un popolo, Rai-Eri, 2002.
5     Hans H. Fabris ‘Westification?,’ in David L. Paletz, Karol Jakubowicz and Pavao Novosel (a      cura di), Glasnost and after. Media and change in Central and Eastern Europe, Hampton          Press, 1995, pp. 221-231.

Questo è il collegamento per scaricare l’articolo completo (in lingua inglese):
http://journal.euscreen.eu/index.php/view/article/view/JETHC058/104

Questo è il collegamento all’articolo completo (in inglese) sulla rivista “VIEW – Journal of European Television History and Culture”:
http://journal.euscreen.eu/index.php/view/article/view/JETHC058/104 – See more at: http://77.104.189.130/~loreda22/comunitaitalofona.org/dl/portali/site/articolo/ContentItem-8f0e8b4e-1793-4e2d-b8e2-d043bb8a86ec.html?refresh_ce#sthash.dMHsNzFZ.dpuf

 

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http://journal.euscreen.eu/index.php/view/article/view/JETHC058/104 – See more at: http://77.104.189.130/~loreda22/comunitaitalofona.org/dl/portali/site/articolo/ContentItem-8f0e8b4e-1793-4e2d-b8e2-d043bb8a86ec.html?refresh_ce#sthash.dMHsNzFZ.dpuf
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http://journal.euscreen.eu/index.php/view/article/view/JETHC058/104 – See more at: http://77.104.189.130/~loreda22/comunitaitalofona.org/dl/portali/site/articolo/ContentItem-8f0e8b4e-1793-4e2d-b8e2-d043bb8a86ec.html?refresh_ce#sthash.dMHsNzFZ.dpuf
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