(24/03/2017) Improvvisamente la lingua italiana è quasi tutti i giorni sui giornali. Cosa sta succedendo?
Credo che siamo di fronte a un passaggio molto importante per la nostra lingua e per un rinnovamento significativo della politica linguistica nel nostro Paese. Sembra che molti nodi stiano venendo al pettine tutti insieme: la scuola (più italiano e meglio), il sessismo della lingua (ministra e il riconoscimento del linguaggio di genere), le lingue di minoranza (rispetto del bilinguismo nella toponomastica in Alto Adige) e soprattutto la questione dell’ufficialità dell’italiano.
Lo scorso febbraio, infatti, la Corte Costituzionale ha pubblicato una sentenza ( n. 42/2017) relativa ai corsi di laurea esclusivamente in inglese che il Politecnico di Milano decise, nel 2012, di attivare, in base alla legge Gelmini sull’internazionalizzazione. Molti colleghi del Politecnico si opposero, il Tar della Lombardia diede loro ragione, la questione arrivò al Consiglio di Stato che a sua volta sollevò un dubbio di costituzionalità davanti alla Corte Costituzionale.
Dopo questo lungo iter la sentenza della Corte assume ora un grande valore perché affronta esplicitamente il tema dell’ufficialità dell’italiano sulla base di alcuni articoli della nostra costituzione ( art. 3, art. 9, art. 33, art. 34) e quindi dei diritti costituzionali. Basta citare qui tre passi fondamentali della sentenza: “L’esclusività della lingua straniera [..] innanzitutto estrometterebbe integralmente e indiscriminatamente la lingua ufficiale della Repubblica dall’insegnamento universitario di interi rami del sapere. Le legittime finalità dell’internazionalizzazione non possono ridurre la lingua italiana, all’interno dell’università italiana, a una posizione marginale e subordinata, obliterando quella funzione, che le è propria, di vettore della storia e dell’identità della comunità nazionale, nonché il suo essere, di per sé, patrimonio culturale da preservare e valorizzare.
In secondo luogo, imporrebbe, quale presupposto per l’accesso ai corsi, la conoscenza di una lingua diversa dall’italiano, così impedendo, in assenza di adeguati supporti formativi, a coloro che, pur capaci e meritevoli, non la conoscano affatto, di raggiungere «i gradi più alti degli studi», se non al costo, tanto in termini di scelte per la propria formazione e il proprio futuro, quanto in termini economici, di optare per altri corsi universitari o, addirittura, per altri atenei.
In terzo luogo, potrebbe essere lesiva della libertà d’insegnamento, poiché, per un verso, verrebbe a incidere significativamente sulle modalità con cui il docente è tenuto a svolgere la propria attività, sottraendogli la scelta sul come comunicare con gli studenti, indipendentemente dalla dimestichezza ch’egli stesso abbia con la lingua straniera; per un altro, discriminerebbe il docente all’atto del conferimento degli insegnamenti, venendo questi necessariamente attribuiti in base a una competenza – la conoscenza della lingua straniera – che nulla ha a che vedere con quelle verificate in sede di reclutamento e con il sapere specifico che deve essere trasmesso ai discenti.”
Quindi l’inglese non è escluso dall’insegnamento universitario?
No, certo. Le università nella loro autonomia possono attivare singoli corsi in inglese. Ma l’importante è che l’italiano non sia escluso dalla formazione superiore e che le università si muovano con equilibrio e ragionevolezza!
Si potrebbe pensare però che si tratti di un problema limitato all’insegnamento universitario. Perché invece questa sentenza della Corte può avere conseguenze più generali?
Come hanno osservato alcuni giuristi, la Corte Costituzionale in sentenze precedenti non era stata mai tanto esplicita nel sostenere le ragioni dell’italiano come “patrimonio culturale da preservare e valorizzare”. In questo caso invece si è dimostrata particolarmente sensibile nei confronti della nostra lingua, non certo guardando al passato ma guardando al presente e al futuro soprattutto difronte ai problemi attuali della globalizzazione.
Non si tratta quindi né di nazionalismo, né di messa a rischio dell’autonomia universitaria?
Certo che no. Sappiamo che nella nostra Costituzione non c’è il riferimento all’italiano come lingua ufficiale della Repubblica. I costituenti non sentirono l’esigenza di affermarlo espressamente perché era prima di tutto la lingua stessa della Costituzione che lo dimostrava. Era più urgente parlare delle lingue di minoranza fortemente penalizzate dal fascismo. Oggi il quadro generale è molto cambiato: l’Unione europea riconosce 24 lingue ufficiali e la sua politica, almeno dal punto di vista teorico, è a favore del multilinguismo e multiculturalismo, gli ingenti flussi migratori mettono in primo piano il problema della necessità di un’integrazione che si basi prima di tutto sulla lingua ufficiale dei Paesi di accoglienza , il rapporto tra l’angloamericano e le lingue “nazionali” è complesso e necessita di grande consapevolezza e di politiche adeguate. “L’inglese non basta” come ha scritto autorevolmente la scienziata Maria Luisa Villa in suo fortunato libro (2013). Sarebbe auspicabile dunque che la questione dell’inserimento dell’italiano in Costituzione venisse ripresa quanto prima
In ogni caso, secondo lei, questa sentenza della Corte chiarisce molti aspetti della “nuova questione della lingua” e indica una strada?
Si. Si tratta di una sentenza molto equilibrata, che invocando il senso della misura ci “aiuta ad elaborare una politica moderna” di cui chi ci governa (e non solo le università) dovranno tenere conto. Perché si basa sul rispetto dei diritti costituzionali, contro ogni discriminazione Riprendo le parole del presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini “questa sentenza si configura come risposta a un indebito quanto insensato tentativo di imposizione totale, autoritaria e forzata della lingua inglese, con esplicita autolesionistica abolizione dell’italiano. questa sentenza difende dunque la nostra libertà, contro un atto di autoritarismo linguistico”.
Per un maggiore approfondimento, sul sito dell’Accademia della Crusca (www.accademiadellacrusca.it) si può trovare il testo della Sentenza della Corte Costituzionale e una Lettera/appello, scritta da Agostina Cabiddu, docente del Politecnico di Milano (L’italiano siamo noi) al Capo dello Stato, al Capo del governo e ai ministri Fedeli e Franceschini. La lettera è già stata firmata da oltre 3000 persone ed è ancora sottoscrivibile. Si tratta di un invito a “mettere in campo tutte le azioni (legislative, di ricerca, di formazione, di digitalizzazione dell’immenso patrimonio librario e archivistico italiano, etc.) atte a tutelare, promuovere e valorizzare la nostra lingua, in Italia e all’estero”. Suggerisco inoltre la lettura di altri testi pubblicati nel sito: quelli del Presidente della Crusca Claudio Marazzini e del giurista Paolo Caretti, un interessante articolo di Michele Gazzola (Per un’internazionalizzazione realmente plurilingue delle Università) e altri interventi (Ainis, Cabiddu, Camarlengo, Coluccia, Galletta, Villa) che approfondiscono il tema da punti di vista diversi.