«Così traduco il dramma antico in Lis»

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(06/07/2017) «Mani che ricamano l’aria». Così il nostro Simone Fanti definì il lavoro delle interpreti in Lingua italiana dei segni che in occasione di InnovAbili, l’evento per la festa dei 5 anni del nostro blog, ci incantarono alternandosi alla traduzione per i nostri ospiti sordi. A Siracusa, con la Lingua dei segni si è andati oltre. Grazie all’iniziativa di Bernadette Lo Bianco, presidente dell’associazione Sicilia turismo per tutti, sono stati prodotti una serie di video che illustrano le bellezze di Siracusa e della Val di Noto tradotti in Lis e sottotitolati.

Delle diverse iniziative di Bernadette Lo Bianco, in particolare a favore dell’accessibilità ai turisti con disabilità sensoriale, abbiamo parlato altre volte. Ma il suo fiore all’occhiello resta la richiesta di traduzione in Lingua dei segni degli spettacoli che si rappresentano al Teatro greco di Siracusa per gli annuali Cicli di rappresentazioni classiche a cura dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico. Un servizio di straordinario spessore culturale per rendere fruibile uno spettacolo unico al mondo grazie alla passione e alla competenza di Viviana Aprile, catanese, «la più brava interprete siciliana in lis», l’ha definita Lo Bianco. InVisibili l’ha incontrata e ne ha conosciuto passioni, grazia e generosità.

Quindi è così, lei traduce un’intera tragedia…
Sì. La motivazione è forte: rendere fruibile qualcosa che non lo è mai stato. Con una particolare suggestione: che operare questa traduzione significa offrire la funzione di formazione che aveva il teatro già nel mondo greco classico.
Prima ci si limitava a dare alle persone sorde delle informazioni sul mondo classico, ora è tutto fruibile, veramente fruibile.

La traduzione dei classici fa parte del bagaglio tipico dell’interprete Lis o questo è un servizio che rende solo lei?
No, credo che questa sia un’esperienza unica. Che io sappia, non ci sono grandi lavori di traduzione dei classici in Lis. C’è un interesse, un’evoluzione che parte dagli studi approfonditi sulla lingua: quelli non sono mai mancati. Ma solo da poco tempo si lavora perché sia fruibile un intero testo classico. E qualcosa che sta cominciando a germogliare adesso.

Un’intera rappresentazione classica è molto lunga. Quanti interpreti ci vogliono per uno spettacolo?
L’anno scorso ero sola.

Addirittura!
Il primo anno invece eravamo in due. Abbiamo diviso tra noi i diversi momenti della tragedia. Ma l’anno scorso ero sola.

Come avviene tutto il lavoro? È una traduzione concettuale?
Compio uno studio preliminare della tragedia, poi eseguo una doppia traduzione perché la Lingua dei segni sfrutta il canale visivo-gestuale, però è una vera lingua con regole, grammatica e sintassi proprie. Dunque non può essere una traduzione letterale, come sempre avviene nella traduzione da una lingua a un’altra. Il lavoro in più consiste, trattandosi di un testo in versi, della trasposizione in parafrasi. Poi traduco in lingua dei segni.

Ci vorrà molto tempo per compiere un’opera del genere.
Sì, preparo un po’ prima questo lavoro che è una base, una traccia. Ma la traduzione avviene a braccio: devo seguire le voci degli attori che recitano a loro volta un copione. Vivo momenti intensissimi in cui mi sento davvero molto molto coinvolta da ciò che avviene in scena. Il livello delle emozioni è altissimo. Posso dire che questo, anche per una mia antica passione per il mondo classico, è il servizio che amo di più.

Come si diventa interpreti Lis, esiste un riconoscimento professionale?
Ho intrapreso il mio percorso di studi personale conseguendo la laurea; parallelamente ho seguito, fuori dalla Sicilia, un corso di formazione da interprete. C’è una certificazione che mi rende “interprete” perché la formazione che ho seguito risponde a determinati parametri ma in Italia non esiste ancora un albo professionale. Per questo spesso si confonde l’interprete Lis con l’assistente alla comunicazione.

Il pubblico che riceve la sua traduzione viene solo per curiosità o ha un interesse vero per il teatro classico?
Su tutto c’è il bisogno di “far parte”, sempre. Oggi, grazie a Internet e alle videochiamate, alla tecnologia in generale, la comunicazione è decisamente più fluida. Anche l’accesso al mondo classico, che era stato sempre negato, ora è possibile. Le persone sorde vanno coinvolte anche all’Opera, per esempio. Altrimenti è logico che si annoino. Bisogna fare in modo che comprendano ciò a cui assistono e loro saranno felici di “far parte” e di godere di tanta bellezza. Andare al Teatro greco di Siracusa significa anche godere della magnifica scenografia naturale, a cui si aggiunge quella teatrale. L’emozione di ciò che accade in scena e la bellezza di certi passaggi del testo erano cose fin qui chiuse dietro una porta che ora si apre. Finalmente.

Dovendo seguire lo spettacolo su due canali, la traduzione e la scena, ed essendo lo spettacolo molto lungo immagino che gli spettatori sordi si stanchino facilmente…
Come gli spettatori udenti: l’attenzione, il gusto, il gradimento sono elementi molto personali. Io però, in seno alle manifestazioni del ciclo di Rappresentazioni classiche, traduco anche l’Agòn (“Agòn:dal dramma classico alla simulazione processuale” ndr) Una sorta di processo ad un personaggio della tragedia, da cui si trae un tema universale sul quale si battono un’accusa e una difesa. La messa in scena, con veri avvocati e magistrati (sono coinvolti l’Ordine forense di Siracusa e il Siracusa International Institute for Criminal Justice and Uman Rights ndr), comporta l’uso del linguaggio tecnico-giuridico da tradurre a un pubblico di non addetti ai lavori ed una ulteriore sfida anche per me che devo operare una traduzione a braccio in cui non ho riferimenti testuali ai quali agganciarmi.

Lei cosa traduce in questo speciale 2017?
Traduco Rane, di Aristofane. È una commedia con un linguaggio diverso da quello della tragedia. Spero in una grande affluenza, un po’ per la presenza di Ficarra e Picone tra i protagonisti, un po’ per l’atmosfera più leggera. L’appuntamento è per il 6 Luglio.

È possibile (o solo difficile) tradurre in Lis l’umorismo, la battuta ironica, il sarcasmo?
Anche l’umorismo riflette il sistema culturale di cui è espressione. Come lo humor tipicamente inglese. Anche le persone sorde hanno un loro umorismo, di solito autoreferenziato. Ma ridono, sì. E fanno battute.

Prima della messa in scena, lei ha contatti con gli attori e i registi?
No, nessun contatto per quanto riguarda le tragedie. Per Agòn, invece sì, ho dei contatti che mi sono necessari. Come dicevo, il lavoro di preparazione, quello che compio su di me, è molto dettagliato. Quindi ho bisogno di fare qualche ricerca in più sui personaggi, per la maggiore resa nella traduzione; e poi ho bisogno di “imparare” le voci che si succederanno in scena. Coglierne la chiarezza, la dizione, la tonalità mi aiuta ad avere un aggancio vocale.

Sembra un lavoro impossibile, dando sempre le spalle alla scena…
Ogni tanto mi volto per un attimo. E poi ci sono delle tecniche che, certo, sono diverse da quelle che si usano nella traduzione di un convegno. Per tradurre una messa in scena si usa, per esempio, l’impersonamento.

Un’ultima nota: un particolare motivo d’orgoglio?
L’idea di aver aperto una porta: era un mio sogno. Ho reso fruibile alle persone sorde il testo di Oreste, di Medea, di Antigone. Ogni volta è un’emozione assoluta. Mi piace la presenza degli studenti universitari. Ma è la presenza dei miei colleghi che mi arricchisce particolarmente perché onora il mio lavoro; è stimolante ed è fondamentale per il confronto che ne scaturisce e che favorisce la crescita professionale di tutti noi.

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