Menù letterari – Le ricette dei romanzi e non solo

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menuletterari_rid_1 Si terrà dal 21 al 27 novembre la Settimana per la cucina italiana nel mondo, lanciata dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e dal Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca. La cucina, il cibo le ricette, sono parte integrante della nostra cultura e si legano in maniera inscindibile alla lingua italiana. La letteratura ci offre innumerevoli spunti, veri e propri menù letterari. Per questo motivo vi proponiamo un libro particolare e divertente, uscito quest’anno per casa editrice Franco Cesati.

Un libro che fa venir voglia di leggere e di mangiare. Ce ne parla l’autrice Cèline Girard, nata a Parigi, ma fiorentina d’adozione. Allora si legge e ci si leccano i baffi?
L’idea è quella! Prendere il lettore per la gola, fargli venire l’acquolina in bocca, sia attraverso delle ricette gustose e facilmente replicabili, sia attraverso le pagine più belle della letteratura. La filosofia di questo libro è di far venire voglia di leggere a chi non è appassionato di libri, attraverso il linguaggio universale del cibo; di portare chi ama la letteratura a caccia dei dettagli golosi dei romanzi ma anche di fargli scoprire autori meno noti, o che sono conosciuti per altre opere (come Marinetti o Gadda – famoso soprattutto per il suo Pasticciaccio o, ancora, Guareschi, per tutti il padre di Don Camillo e Peppone ma anche un eccellente scrittore). Questo attraverso stralci di pagine, informazioni, curiosità, aneddoti sugli autori e sulle opere; dunque niente di accademico ma qualcosa di scritto “di pancia” (il che viene anche semplice, visto l’argomento!) e dal punto di vista di una lettrice attenta ai dettagli, alle ambientazioni e alle atmosfere più che da scrittrice vera e propria. Poi qua e là ho aggiunto il mio tocco, i miei ingredienti, in un certo senso, un po’ come si fa quando si cucina e si modifica una ricetta, la si arricchisce con variazioni, la si rende “nostra”, “speciale”.
Il bello di questo libro, a mio avviso, sta nella sua versatilità: infatti lo si può leggere anche da appassionati di cucina, da “gourmet” come spunto per un affascinante menù letterario da proporre durante una cena con amici o una ricorrenza speciale, accostando ingredienti, sapori e profumi alle parole, alla pagina scritta.

 

Si comincia dagli antipasti per arrivare ai dolci. Grandi autori che raccontano ricette, profumi, sapori che evocano ricordi, atmosfere, bei tempi passati o tragedie trascorse.
Il cibo, così come le parole, ha un potere straordinario: quello di riportare alla mente i ricordi, di far riaffiorare sensazioni e momenti di vita, che magari pensavamo di aver dimenticato; le madeleine di Proust sono un esempio lampante di questo meccanismo ma lo sono anche gli smarren di Natalia Ginzburg e tutto il suo romanzo più famoso (e che io adoro!) “Lessico famigliare”: lì le parole, i modi di dire, le frasi che “fanno famiglia” si intrecciano diverse volte con il cibo, con le caramelle che la madre di Natalia usava esclusivamente per insegnarle l’aritmetica ma che non si potevano mangiare perché “rovinavano i denti”, con i dolci “proibiti” come la cioccolata e tutto ciò che era “fuori pasto”. I piatti che i protagonisti dei romanzi mangiano mentre si muovono nella storia dicono molto della loro psicologia, sono un indizio di un carattere, a volte di una frenesia, di una patologia, come nel caso del Palomar di Calvino: nella sua osservazione ossessiva della realtà che lo circonda, analizza e cataloga i vari formaggi abbinandoli a una tipologia di carattere e di persona. A volte gli indizi di cui parlo portano dal personaggio direttamente all’autore del libro: è il caso del personaggio più famoso di Simenon, Maigret. Il pieno stile “giallo”, l’autore dissemina i testi di prove più o meno schiaccianti che portano a far coincidere il famoso commissario con lo scrittore belga: su tutte, la passione per la pipa e per il cibo.
Tornando a casa nostra (perché ormai considero l’Italia un po’ anche la mia casa, nonostante sia francese), ci sono poi casi in cui la cucina e il cibo non solo entrano nella scrittura ma diventano essi stessi racconto: è il caso del risotto alla milanese di Gadda. Qui lo scrittore, non si limita a dare la ricetta del piatto ma aiuta il lettore a fare la spesa, lo segue passo passo ai fornelli, e, anche qui, ciò che è interessante è il modo in cui lo fa! Con un piglio molto serio, quasi scientifico, senz’altro severo: precisa quale qualità di riso sia da preferire così come quella dello zafferano, la provenienza delle verdure e delle carni, così come del burro, tutte rigorosamente lombarde: si parla spesso di chilometro zero, di biologico, beh Gadda ne è un esempio ante litteram!

Dal risotto alla milanese di Gadda al timballo di maccheroni del Gattopardo, dalla frittata di D’Annunzio alla cena all’osteria di Pinocchio, fino ad arrivare al torrone di Pavese e alla torta Purgatorio di Guareschi. E’ stata una selezione difficile quella che ha dovuto affrontare?
Selezionare i libri è stato come mettersi a dieta ferrea: difficilissimo per una appassionata di letteratura. All’inizio la lista di libri era molto più lunga ma poi, insieme all’editor della collana abbiamo pensato che 24 fosse un buon numero per incuriosire il lettore ma non “saziarlo”, un po’ come dovrebbe fare un buon antipasto: aprire lo stomaco, stuzzicare l’appetito, preparare il palato alle portate successive, che nel nostro caso vorrebbe dire leggere i romanzi veri e propri. Per scegliere mi sono affidata per prima cosa al mio gusto personale, gli autori a cui sono affezionata, che fanno parte della mia formazione come Calvino e Pavese, poi ad aiutarmi nella selezione sono stati alcuni verbi che hanno molto a che fare con la cucina: “dosare” i primi, i secondi e i dolci in modo da creare un vero e proprio menù letterario; “accostare” sapori, colori, atmosfere: da quelle sfavillanti dei party primo Novecento in casa Gatsby a quelle fredde degli inverni di Santo Stefano Belbo di Pavese a quelle intime, legate alla descrizione dei sentimenti umani, come nei “Sillabari” di Parise.

Ogni ricetta è lo spunto per raccontare un momento personale o storico, come ad esempio la pizza di verdure di Clara Sereni che ci riporta alle vicende del ’68 in Italia, intrecciate con la nostra storia sociale e politica.
Questo è uno degli aspetti più interessanti del legame tra letteratura e cibo: il valore simbolico, sociale ma anche privato, politico di un elemento così quotidiano della vita delle persone, come è ciò che si mangia. Il genio di chi scrive sta anche in questo, nel descrivere uno stato d’animo, una condizione sociale, un’ambientazione a partire da ciò che uno o più personaggi mangiano. Un bellissimo esempio di questa straordinaria capacità si trova nel “Taglio del bosco” di Cassola. Nel giorno di festa per eccellenza come il Natale, in cui la maggior parte delle persone si ritrova a tavola con la propria famiglia, i tagliatori di legna di Cassola, lontani da casa e dagli affetti, consumano un pasto qualunque, non diverso da quello che mangerebbero in un giorno qualsiasi, come dice l’autore: la pasta e fagioli, un piatto semplice da preparare e soprattutto sostanzioso, che conforta e scalda gli animi e le fatiche dei lavoratori, ne accompagna le parole, i racconti, le confidenze che sanno di guerra, di morte, di povertà.
Per Clara Sereni, un’altra straordinaria autrice che riempie le pagine del suo “Casalinghitudine” di ricette, invece questo piatto ha il sapore del Sessantotto, sa di rivoluzioni studentesche e di diritti; un po’ come la sua versione della pizza, quella che prepara per sé e per un gruppo di amici mentre aspettano i risultati del referendum sul divorzio.

Le ricette proposte si possono anche provare a ripetere, le indicazioni sono rigorose e di non difficile esecuzione. Insomma un libro da tenere sugli scaffali o in cucina tra mestoli e padelle?
Si parla spesso di “comfort food”: definirei questo libro come un “comfort book”, un libro intimo e d’atmosfera; un libro che si legge in cucina, il luogo più intimo della propria casa, quello delle “confidenze”, dove lasciamo entrare solo le persone più vicine, quelle che non daranno peso alle tazze della colazione ancora da lavare, al caos di pentole sui fornelli. Un libro da leggere mentre l’acqua bolle e il soffritto sfrigola in padella, mentre si cucina; da condividere, oppure da assaporare da soli davanti a una tazza di caffè. Che poi faccia venire voglia di spostarsi dai fornelli a un altro luogo prezioso della casa – quello in cui si conservano i libri – di prendere un volume dallo scaffale e di iniziare a leggerlo, dapprima magari spinti da questa sorta di dolce caccia al tesoro per poi lasciarsi andare alle pagine, alle parole; di gustare un libro come fosse un dessert, quando si arriva all’ultima cucchiaiata di crema o all’ultimo morso di pan di Spagna, con un filo di malinconia ma con un’altra dolce consolazione: quella che ci sarà sempre un nuovo libro, un altro momento, un’altra cena, un’altra occasione per leggere, per mangiare, o entrambe le cose insieme.

 

Céline Girard è nata a Parigi nel 1980.Giornalista pubblicista e redattrice, si è laureata in Letteratura italiana a Firenze, la città in cui vive, lavora e mangia. Scrive e legge per mestiere, e perché non può farne a meno.Fan del punto e virgola e di chi, quando scrive, impugna in una mano la penna e, nell’altra, la cesoia. Divoratrice di libri e di dolci, non toccatele Calvino, Hemingway e Pavese.

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