L’italiano, una lingua internazionale (contro l’Italian sounding)

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(25/06/2025) Dal sito dell’Accademia della Crusca vi segnaliamo questo articolo dell’Accademica Maria Teresa Zanola.

L’italiano, una lingua internazionale (contro l’Italian sounding)

di Maria Teresa Zanola

“La dimensione internazionale dell’italiano porta l’attenzione alla cultura italiana – dall’arte alla musica, dalla scienza alla gastronomia -, superando la diffusione del “falso” italiano”: l’Accademica Maria Teresa Zanola invita a riflettere sulla questione del rilancio commerciale dell’italianità e di come questo abbia impatto sulla lingua.

Nel vertice del G7 a Borgo Egnazia lo scorso giugno 2024, nell’ambito della tavola rotonda sul tema dell’intelligenza artificiale, il discorso di Papa Francesco è stato tenuto in italiano: in un contesto del tutto internazionale, l’italiano è stata una lingua del mondo. Papa Leone XIV usa l’italiano nei discorsi pubblici, ricevendo e incontrando personalità e gruppi stranieri. Il suo portafoglio linguistico comprende inglese, italiano, spagnolo, francese e portoghese, e la scelta linguistica ad hoc è introdotta quando passa a interazioni più personali o se si trova in contesti che determinano il fatto di privilegiare una di queste lingue in particolare: affacciandosi dalla loggia della Basilica di San Pietro, il Pontefice ha esordito in italiano, augurando ai fedeli “Che la pace sia con voi!”; è passato in un solo momento allo spagnolo, per salutare la sua diocesi peruviana.

Il Papa è il più prestigioso ambasciatore della lingua italiana ed è impressionante sentir risuonare la nostra lingua nelle celebrazioni, perché fa pensare a tutte quelle che nel mondo utilizzano l’italiano per le rispettive comunità. Non si tratta di un italiano di tipo veicolare, ma dell’italiano come lingua e tradizione culturale viva, praticata dalle comunità italiane presenti in tantissimi paesi, laddove per emigrazione lontana o recente si ritrovano gruppi di italiane e italiani e le loro famiglie.

Lasciando sullo sfondo temi oggetto di studi sociolinguistici, relativi all’identità linguistica migrata e allo spazio linguistico italiano, nella consapevolezza che una politica linguistica mai ben definita non ha facilitato la strada, è interessante approfondire il rapporto generato dalla lingua e cultura italiana nel mondo, a partire dai processi di carattere economico e produttivo legati alla diffusione di prodotti italiani, per giungere a una valutazione della posizione internazionale attuale dell’italiano.

Italian Sounding e italiano globalizzato

Un prodotto italiano può anche essere un simbolo se legato a tradizioni e segni tipici della sua cultura: lo diventano così spesso i prodotti alimentari, espressione della dieta mediterranea, del saper vivere – e cucinare – italiano. Su impulso dell’Accademia Italiana della Cucina, della Fondazione Casa Artusi e della rivista “La Cucina Italiana”, è stata lanciata nel marzo 2023 la candidatura UNESCO della cucina italiana alla lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Non solo quindi prodotti e alimenti: la pratica della cucina nella sua quotidianità, nel modo di prendersi cura di sé e degli altri, di ricordare le proprie origini e di trasmetterle alle nuove generazioni, sarà valutata nel corso del 2025. L’attenzione è rivolta a un complesso agroalimentare, antropologico e culturale, fatto di gesti condivisi, ricette antiche e rinnovate, gusti, sapori e profumi che coinvolge non solo i 60 milioni di italiani che vivono in Italia, ma anche gli 80 milioni che sono all’estero.

Nell’evidenza di un contesto così ampio e significativo, parrebbe ovvio pensare che l’italiano abbia fin qui identificato e denominato ogni angolo di questo patrimonio linguistico-culturale: purtroppo, nel tempo, un certo grado di inconsapevolezza e di incuria ha fatto sì che si siano diffuse anche etichette linguistiche italiane per designare referenti e contenuti di carattere alimentare non proprio ortodossi. Mentre dal punto di vista legislativo l’etichetta Made in Italy identifica tutti i prodotti realizzati in Italia, con materia prima italiana, l’Italian Sounding designa i falsi prodotti pseudo-italiani: il fenomeno si riferisce all’uso di parole, immagini, combinazioni cromatiche, riferimenti geografici, marchi e simboli evocativi dell’Italia per la commercializzazione di prodotti principalmente agroalimentari – ma non solo – che in realtà nulla hanno a che fare con l’originale italiano. Con l’Italian Sounding sono messi in circolo prodotti con nomi che usano l’italiano – e suoi spesso maldestri adattamenti – per far uso della reputazione di una presunta origine italiana, della qualità riconosciuta internazionalmente, ma che in realtà sono prodotti di ben altra provenienza e di qualità diversa, se non discutibile. L’effetto è che questa italianizzazione evocata procura danno al fatturato italiano e ne danneggia l’immagine.

Alle spalle c’è un ampio quadro di riferimenti normativi: il codice sulla proprietà industriale (D.L. 10.02.2005, n. 30), il decreto Crescita (D.L. 30.04.2019 n. 34), la legge 28.06.2019, n. 58 (Conversione in legge del decreto Crescita); altri documenti ministeriali e istituzionali si occupano della lotta alla contraffazione, fra cui un rapporto, realizzato nel 2017 dal Senato della Repubblica (2017) in collaborazione con la Guardia di Finanza, che analizza tutte le forme della contraffazione, compreso il ‘falso’ Made in Italy. Si può quindi combattere ogni forma di imitazione e di riduzione del prodotto italiano autentico. Vero contro falso. La contraffazione dei prodotti che violano marchi registrati e non rispettano i segni distintivi tutelati – come le denominazioni di origine controllata – produce un danno economico ingente, periodicamente valutato nell’ordine di più di 50 miliardi di euro. Denominazioni di prodotti agroalimentari che impropriamente richiamano prodotti caseari italiani protetti (mozzarella, ricotta, pecorino, provolone, gorgonzola, per citarne alcuni) creano confusione nel consumatore estero, oltre alle perdite di mercato costanti.

Massimo Vedovelli ha approfondito il rapporto fra il fenomeno economico-commerciale e i fatti che coinvolgono l’”abbigliamento linguistico e simbolico delle merci” (2022), rilevando il limite di un approccio di carattere denominatorio e nomenclatorio dell’attività simbolica in questione: oltre al collegamento fra il nome e la cosa, l’identità è già italiana di per sé, in ragione delle materie prime usate, della provenienza geografica, dei tipi di processi produttivi che la caratterizzano. Come impedire che questa realtà sostanziale, oltre che segnica, sia trasferibile ovunque o, se resa possibile la sua adeguata dislocazione, sia autenticamente italiana? Questo è il dato ineliminabile: non è solo questione di un nome italiano dato a un prodotto, è l’insieme del processo della produzione – dalla sua genesi alla sua realizzazione commerciabile – che implica caratteri di italianità. La risposta normativa, attraverso i documenti citati, i disciplinari di produzione, le battaglie delle istituzioni e associazioni a difesa dei prodotti italiani, ha messo in moto un movimento di consapevolezza molto profondo ed esteso.

Non ritorniamo qui alle critiche mosse al nome stesso di Italian sounding, un’espressione non italiana per definire questa deviazione dall’originale prodotto italiano, se non una vera e propria manipolazione. Parrebbe l’esito globalizzato di un uso non disciplinato della lingua, che si adatta a divenire fattore di singole attrattività commerciali, accantonando il patrimonio che una lingua dà a un popolo in tutti i risvolti possibili di carattere culturale, scientifico, sociale e umano. Non ci attardiamo nella vis polemica che il tema suscita, ma cerchiamo vie d’uscita e nuove piste attrattive per la valorizzazione dell’italiano e dei beni materiali e immateriali che può veicolare e trasmettere.

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