Luca Serianni: La lingua italiana nel mondo, opportunità e sprechi di una grande risorsa

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(22/01/2015) Dalla Voce di New York vi proponiamo un’intervista, curata da Filomena Fuduli Sorrentino, al professor Luca Serianni, storico della lingua italiana all’Università La Sapienza di Roma e vice presidente della Dante Alighieri.

La lingua italiana nel mondo, opportunità e sprechi di una grande risorsa

Intervista con il Professor Luca Serianni, storico della lingua italiana all’Università La Sapienza di Roma e vice presidente della Dante Alighieri: L’italiano quarta lingua studiata nel mondo? “Non è facile dare cifre precise. Comunque è significativo che l’italiano risulti in una posizione alta della classifica, di fronte a lingue che contano su un numero di parlanti molto più alto”

La VOCE di New York ha intervistato Luca Serianni, professore ordinario di Storia della lingua italiana all’università “La Sapienza” di Roma . Serianni ha condotto indagini sulla storia linguistica italiana dal Medioevo a oggi, e sulla diffusione dell’italiano nel mondo. Socio dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia dei Lincei, nel 2002 ha ottenuto la laurea honoris causa nell’Università di Valladolid, ed è direttore delle riviste Studi linguistici italiani e Studi di lessicografia italiana. Nel 2010 Serianni è stato nominato all’unanimità vicepresidente della Società Dante Alighieri.

Secondo i dati diffusi dal ministero degli Esteri, il nostro idioma sarebbe la quarta lingua fra quelle più studiate al mondo.  Prof. Serianni, lei dirige una ricerca sulla diffusione dell’italiano nel mondo, secondo i suoi dati quanti studenti lo studiano? 

Non è facile dare cifre precise. L’italiano, come altre lingue straniere, si può studiare in molti modi: presso un gran numero di scuole private, le sedi della Società Dante Alighieri, gli Istituti italiani di cultura; oppure anche attraverso corsi individuali. La ricerca più recente e attendibile, di Claudio Giovanardi e Pietro Trifone, ha accertato che nell’anno 2009-2010 il numero di studenti d’italiano che seguivano un corso tenuto da un lettore nominato dal Ministero degli Esteri assommavano a 51.640. I due studiosi si sono anche chiesti quale sia la posizione in classifica nel mercato delle lingue. Risulta che l’italiano è, col francese, la prima lingua straniera tra le “terze scelte” e la prima tra le “quarte scelte”. Questo vuol dire che un apprendente, dopo avere studiato altre due lingue (tipicamente l’inglese, saldamente al primo posto) e il francese (al secondo), e volendo affrontare lo studio di una terza o quarta lingua si rivolgerà con buona probabilità all’italiano. Le cifre assolute non possono essere molto elevate, perché sono pochi nel mondo coloro che studiano o conoscono, più di due lingue, oltre alla madrelingua. Comunque è significativo che l’italiano risulti in una posizione alta della classifica, di fronte a lingue che contano su un numero di parlanti molto più alto, come il russo o il portoghese (per non parlare di cinese o arabo), e con un notevole prestigio culturale e politico.

Perché l’italiano ha tanto successo in questo momento all’estero?

L’Italia continua a godere di un’immagine positiva come paese di grande cultura (pensiamo non solo all’arte e alla classica cultura alta, ma anche alla musica pop al cibo), espressione di uno stile di vita gradevole, favorito dalla mitezza del clima. Anche se negli ultimi decenni l’Italia è arretrata come meta turistica internazionale, a causa dei prezzi alti e dei cattivi collegamenti — pensiamo solo alla difficoltà di raggiungere il Mezzogiorno, con le sue spiagge –, questa immagine positiva continua a farsi sentire. E non si possono trascurare lo studio e il lavoro: nel 2010 quasi la metà degli apprendenti si riconoscevano appunto in una di queste due motivazioni.

Molte istituzioni oggi si preoccupano di promuovere lo studio dell’italiano all’estero. È un’azione di politica linguistica o è un interesse serio da parte delle istituzioni per promuovere sia la nostra lingua e sia la nostra cultura?

Credo che si tratti di un’azione di lungimirante politica linguistica, che tiene conto del prestigio di una certa tradizione culturale, ma anche dell’indotto economico che ne deriva. Pensiamo alla richiesta di insegnanti madrelingua, per esempio, ma anche alla moltiplicazione di contatti commerciali. Le interazioni finanziarie avvengono in inglese; ma se qualcuno vuole comprare via Internet del vino tipico da una piccola ditta del Monferrato o del Sannio può avere la soddisfazione di leggere in italiano, non in un inglese povero e stereotipato, i particolari sulla degustazione del prodotto e sull’abbinamento con i piatti caratteristici di una tradizione gastronomica.

Quali sarebbero le strategie più adatte per favorire lo sviluppo dell’italiano all’estero?

In primo luogo strategie indirette. Soprattutto una: potenziare il turismo, investendo di più in un comparto che i governi italiani stranamente trascurano. La conoscenza diretta di un altro paese suscita sempre, in una minoranza di visitatori, lo stimolo a familiarizzarsi con la sua cultura, a stabilire rapporti diretti con i suoi abitanti: dunque a imparare la lingua del luogo.

Secondo numerosi articoli, l’italiano nelle università degli USA è molto richiesto, e molti studenti sia liceali e sia universitari lo scelgono perché desiderano visitare l’Italia. Infatti negli USA quasi tutte le università, e molti licei, hanno programmi con le diverse università italiane. A parte il vantaggio per lo studio dell’italiano, quali altri benefici questi programmi possono dare all’Italia?

Ovviamente il mondo anglofono rappresenta un obiettivo privilegiato. Non foss’altro che per una ragione banale: uno statunitense (o un britannico, un australiano ecc.) non ha il problema di studiare l’inglese come prima lingua e può rivolgere energie e tempo libero verso altre lingue. Anche qui il vantaggio è evidente: uno studente d’italiano, più motivato rispetto al turista medio da una certa conoscenza della lingua, è portato a viaggiare in Italia, a soggiornare anche in luoghi meno tradizionalmente battuti dal turismo (dall’Umbria al Salento). Ciò comporta benefici commerciali indubbi: chi pensa che lo studio delle lingue non abbia a che vedere con la bilancia dei pagamenti è decisamente fuori strada.

Molti insegnanti d’italiano vorrebbero insegnare nelle scuole pubbliche degli USA, che consigli può dare a questi docenti?

Il consiglio fondamentale è quello di non disamorare gli studenti con un eccesso di grammatica. Bisogna preoccuparsi di insegnare la lingua, certamente, ma anche di stimolare la curiosità per la cultura che la esprime. In particolare, punterei sulla conversazione e in un primo tempo privilegerei la competenza passiva: riuscire a essere in grado di capire quel che viene detto o di interpretare una pagina scritta è un ottimo modo per vincere il senso di spaesamento che coglie qualsiasi studente alle prese con un a lingua nuova.

La lingua italiana è una ricchezza, ma ci sono strutture politico-istituzionali che non si collegano e non colgono le potenzialità del momento. Come coordinare il tutto?

Attraverso l’istituzione di una struttura istituzionale (un ministero senza portafoglio o un sottosegretario con delega specifica) espressamente incaricata a coordinare le iniziative turistiche e le offerte di insegnamento linguistico.

Pensa che lo stato italiano debba finanziare con più soldi la diffusione della lingua italiana all’estero? E come per evitare sprechi?

Basterebbe prendere esempio dalla Spagna, che finanzia ampiamente l’Instituto Cervantes, consapevole dell’importanza dell’investimento sulle lingue. Non trascuriamo il fatto che lo spagnolo ha ottime posizioni nel mercato delle lingue: rappresenta la “prima scelta” per il 7% e la seconda scelta per il 16% (i dati per il tedesco sono rispettivamente l’1% e il 15%, per il francese il 9% e il 37%, mentre per l’italiano la “prima scelta” è a zero e la seconda l’8%). E la Spagna attrae da diversi anni più turisti dell’Italia. La paura degli sprechi non può bloccare la spinta a investire in un settore che, adeguatamente finanziato, può sviluppare grandi risorse.

Il link all’articolo sul sito della Voce di New York

 

 

 

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