Il futurismo, forse uno dei movimenti artistici e letterari più originali del secolo scorso ha elaborato e prodotto innumerevoli neologismi, legati soprattutto al fascino esercitato dalla velocità, dalla potenza, dal dinamismo e, in definitiva, dalla modernità. In occasione della ristampa anastatica del Primo dizionario aereo italiano di Filippo Tommaso Marinetti e Fedele Azari intervistiamo la dottoressa Stefania Stefanelli autrice del saggio introduttivo di quest’opera pubblicata per la prima volta nel 1929.
Il movimento futurista è fortemente legato all’aviazione come esaltazione della macchina e ha l’indubbio merito di aver tradotto in lingua italiana la maggior parte di termini che ancora oggi vengono usati nel linguaggio aeronautico. Esistono anche dei termini entrati nel linguaggio comune non legati a specifici contesti tecnologici?
Con la fine ironia che gli era propria, Edoardo Sanguineti ricordava come il piccolo borghese designasse come “futurista” «qualsivoglia dipinto gli paresse anche soltanto blandamente picassiano»; e ancora oggi, càpita di sentire qualcuno che usa questo aggettivo in senso decisamente dispregiativo. Così come “passatista” è usato per indicare persone che si ispirano al culto del passato. Infine, l’espressione “parole in libertà”, con la quale Marinetti designava il nuovo linguaggio poetico svincolato dalle norme della sintassi tradizionale, compare varie volte anche nel linguaggio televisivo e sta a significare un discorso privo di senso comune.
Nell’introduzione si descrivono le modalità e le motivazioni che hanno portato Marinetti e Azari a tradurre i termini aeronautici quasi tutti di origine francese. Quali sono state le difficoltà nel trovare dei termini sostitutivi?
Non penso che un aviatore esperto come Azari abbia trovato particolari difficoltà nel tradurre dal francese i termini aeronautici; il problema che forse non era stato previsto stava nel fatto che molti dei termini francesi elencati erano già entrati nell’uso e ci sono rimasti. Un esempio per tutti: per il termine hangar, Marinetti e Azari propongono la traduzione in “capannone”. Ora, hangar è accettato persino dal Dizionario dell’Accademia d’Italia con il significato di “aviorimessa” e, in tempi recenti, nel Grande Dizionario dell’Uso di De Mauro, il termine viene accolto con il significato di “capannone” (come nel Dizionario aereo) e datato 1908.
Quanto ha pesato il contesto politico sulle scelte linguistiche?
Il contesto politico ha avuto un’importanza determinante. È del 1923 il famoso decreto-legge che imponeva di tassare le insegne commerciali con parole straniere, secondo l’atteggiamento puristico del regime fascista. Sarà forse stata solo una coincidenza, ma nell’anno stesso della pubblicazione del Dizionario aereo, il 1929, Marinetti entrò a far parte della Reale Accademia d’Italia e ne diventò Segretario della Classe di lettere. Insieme a lui, famosi letterati come Alfredo Panzini, Angelo Silvio Novaro, Ettore Romagnoli concepirono il progetto di un nuovo grande lavoro lessicografico per lo studio e la tutela della lingua italiana, contro l’uso delle parole straniere.
Si può “quantificare” l’influenza del movimento futurista nella lingua italiana di oggi?
Penso che il futurismo, più che introdurre neologismi nell’italiano, abbia risemantizzato termini già esistenti attribuendo loro significati che sono giunti fino a noi. È questo il caso di una parola come dinamismo, diffusa nell’italiano fino dal settecento, ma riutilizzata dal futurismo nei contesti artistici più diversi: l’espressione dinamismo plastico, per esempio, costituisce ancora il nome con cui si indicano le sperimentazioni pittoriche di questo movimento. Il fatto è confermato dall’entrata del lemma dinamismo nell’edizione 1918 del Dizionario di Panzini come termine appartenente al vocabolario artistico, per il quale l’autore rinvia esplicitamente al lemma Futurismo.
Il tema della traduzione dei numerosi anglismi presenti nella nostra lingua è quanto mai attuale. Pensa sia possibile evitare di continuare a parlare un insopportabile italglish?
Personalmente ritengo che, al di fuori dei linguaggi tecnici e scientifici, nell’italiano dell’uso quotidiano, parlato e scritto, la forte presenza dell’inglese sia inopportuna e dovuta a un insanabile complesso d’inferiorità nei confronti di lingue e culture che ci sembrano più avanzate delle nostre. Parole come jobs act, convention, fashion, o espressioni come opening soon, sarebbero tranquillamente sostituibili da parole italiane aventi lo stesso significato. L’Accademia della Crusca si è occupata più volte di questo fenomeno; lo scorso febbraio si è tenuto un convegno dal titolo La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi, durante il quale linguisti come il Presidente Claudio Marazzini, Luca Serianni, Michele Cortelazzo, Claudio Giovanardi e altri hanno discusso sul fenomeno della neologia influenzata dagli anglicismi. Colpiva, tra gli altri, l’intervento di Anna Maria Testa che testimoniava la continua commistione italiano-inglese nel linguaggio aziendale e, soprattutto, su internet. Naturalmente, la Crusca non ha, come invece avveniva nei secoli passati, nessun intento normativo nei confronti della lingua attuale e il convegno si è concluso con la formazione di un gruppo di studio per l’approfondimento di un fenomeno che sembrerebbe ormai consolidato e crescente nell’italiano di oggi.
Stefania Stefanelli è stata ricercatrice di Linguistica italiana alla Scuola Normale Superiore di Pisa e collabora con l’Accademia della Crusca. Tra le sue numerose pubblicazioni sul futurismo e sulle avanguardie del novecento, ricordiamo I Manifesti futuristi. Arte e lessico (Livorno, Sillabe, 2001) e Scrittura verbovisiva e sinestetica (con Lamberto Pignotti, Udine, Campanotto editore, 2011).