(21/03/2017) Vi proponiamo integralmente un articolo dell’Osservatorio Balcani e Caucaso su un tema che la Comunità ritiene di rilievo: l’evoluzione del servizio pubblico in Europa. Nell’articolo l’attenzione è puntata sulle radio e televisioni pubbliche dell’Europa orientale
Le chiamavano “televisioni di stato”, oggi sono invece “emittenti pubbliche”, ma il controllo politico non è mai venuto meno. Favorendo gli interessi di parte su quelli dei cittadini. Un commento
21/03/2017 – Brankica Petković , Sandra B. Hrvatin Lubiana
Il servizio pubblico dovrebbe rappresentare il baluardo della tutela dell’informazione al servizio del cittadino. La situazione attuale delle emittenti di servizio pubblico del sud-est Europa mostra però tutti i principali problemi del settore dei media nella regione. La stretta esercitata dagli interessi politici di parte su queste istituzioni è così forte che il loro funzionamento, al momento, è un barometro per cogliere il livello di libertà dei media nella regione. Nonostante la maggior parte dei paesi dell’area abbiano riformato le proprie leggi per assicurare una maggiore indipendenza alla radio-televisione pubblica, l’applicazione di queste ultime si è rivelata impossibile, per via delle pressioni politiche orientate a prevenire l’attuazione dell’interesse pubblico.
Da quando è nata nel 2012, la partnership regionale di organizzazioni della società civile “South East European Media Observatory”, ha promosso una serie di valori sintetizzandoli nel concetto di “integrità dei media” (media integrity).
Le riforme nel settore dell’informazione – compito urgente per tutti i governi democratici della regione – devono essere orientate a rafforzare il ruolo di “servizio pubblico” dei media e del giornalismo, riaffermando l’integrità degli organi di informazione. E devono rendere le emittenti pubbliche dei modelli per tutto il settore nell’ambito della regolamentazione, del finanziamento e degli standard professionali.
Una questione di finanziamento
Quelle che in passato erano le “televisioni di stato”, pur trasformate formalmente in emittenti di servizio pubblico, sono ben presto passate sotto il controllo delle élite politiche. Questo ha dato vita a una specifica forma di controllo dei partiti su questi media, dove le posizioni di potere, manageriali ed editoriali sono riservate a dipendenti leali ai potenti. In Bosnia Erzegovina la comunità internazionale ha lanciato diverse iniziative, addirittura dal 2000, per avviare una nuova regolamentazione all’emittente di servizio pubblico, cosa che non è mai accaduta. A peggiorare le cose, nel 2016 la crisi economica sommatasi all’ostruzionismo politico ha quasi costretto BHRT – l’emittente pubblica del paese – a interrompere le trasmissioni.
Alcuni paesi stanno optando per un finanziamento diretto dal bilancio statale del servizio pubblico. Questo va a scapito della raccolta sistematica ed efficiente del canone di licenza: riducendo il legame diretto fra il pubblico e le emittenti e al contempo rafforzando quello fra queste ultime e lo stato. Da un lato, queste tendenze sono alimentate dalle promesse elettorali di alcuni partiti politici, ma dall’altro sono accelerate dall’incapacità dei media stessi di spiegare al pubblico l’importanza di tale servizio e da una realtà sempre più frammentata e commercializzata del settore dei media.
I servizi pubblici di informazione della regione sono organizzazioni grandi e con bilanci sostanziosi, in particolare se si confrontano con gli altri media di questi paesi. Tra i nove paesi esaminati in una ricerca condotta dal SEE Media Observatory alla fine del 2016, il servizio di informazione pubblica ungherese aveva il budget più elevato, 290.220.000 euro, seguito dalla Croazia (182.860.000 euro) e dalla Slovenia (126.950.000 euro). Le emittenti pubbliche in Albania (16.470.000 euro) e Montenegro (12.570.000 euro) si sono rivelate quelle dai budget più ridotti. Questi dati si riferiscono al 2014 e sono pubblicati dall’EBU (European Broadcasting Union), sulla base delle informazioni fornite dai membri dell’organizzazione. Da considerare che anche le emittenti pubbliche del sud-est Europa con maggiori risorse hanno a disposizione budget nettamente inferiori alla media delle emittenti che fanno parte di EBU.
In sei dei paesi coinvolti nel sondaggio, il canone per il servizio di informazione pubblica è raccolto direttamente dai contribuenti (Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Macedonia, Serbia e Slovenia), mentre in Ungheria, Kosovo e Montenegro non si riscuote alcun canone. L’Albania ha il canone mensile più basso, con circa 70 centesimi di euro al mese, mentre la Slovenia ha stabilito il più alto a 12.75 euro, seguita dalla Croazia con circa 11 euro, dalla Bosnia Erzegovina (3.8 euro), dalla Macedonia (3 euro) e dalla Serbia (1.2 euro).
In tutti i paesi del Sud-Est europeo sono permessi trasferimenti diretti di fondi statali al servizio pubblico. In Ungheria, Kosovo e Montenegro, al contrario di altri paesi, i fondi pubblici costituiscono la principale e di gran lunga maggiore entrata per le emittenti pubbliche nazionali.
I finanziamenti provenienti dalla pubblicità sono una fonte di reddito autorizzata per le emittenti pubbliche in tutti i paesi inclusi nel sondaggio. In termini assoluti, con importi tra i 12 e i 17 milioni di euro all’anno, le emittenti pubbliche in Slovenia, Croazia e Ungheria incamerano le somme maggiori provenienti dalla pubblicità tra i paesi del sondaggio, mentre in Albania e Macedonia le entrate pubblicitarie delle emittenti pubbliche sono inferiori a 500.000 euro.
I dati a disposizione suggeriscono che in Bosnia Erzegovina, Ungheria, Kosovo e Montenegro le aziende statali o pubbliche distribuiscano commesse pubblicitarie in modo non trasparente.
Una questione di governance
La dimensione degli organismi di governo della radio-televisione pubblica nella regione è molto differenziata, ma non offre alcuna particolare garanzia di qualità ed efficienza nel loro lavoro. Mettendo a confronto gli organismi di governo della Slovenia con quelli della Bosnia Erzegovina, RTV Slovenia ha 40 “direttori” in totale, mentre la Bosnia Erzegovina ha un organo di governo dieci volte più piccolo, composto da un board di 4 membri nell’emittente nazionale BHRT.
I parlamenti hanno un ruolo dominante nelle procedure di nomina degli organi di governo della radio-televisione pubblica in tutti i paesi del sud-est Europa, ad eccezione della Serbia dove la nomina è fatta dal Consiglio dell’Autorità di Regolamentazione dei Mezzi di Comunicazione Elettronici (REM). La composizione degli organi sociali nominati in parlamento riflette il profilo e gli interessi della maggioranza politica. Pertanto, la riforma del servizio pubblico e le modalità di nomina sono tra gli ambiti sui quali è necessario intervenire con urgenza tenendo conto della necessità urgente di “de-politicizzare” il servizio pubblico e la sua gestione. Iniziative in questo senso sono in corso in Macedonia e Montenegro.
Non sono solo gli evidenti interessi politici, che considerano il servizio pubblico della regione il proprio parco giochi, ad aver indebolito il ruolo di queste emittenti, ma anche interessi privati e particolari, di esponenti della società civile e di organizzazioni o settori che rappresentano. Il loro diritto alla rappresentanza nelle strutture di governo dei servizi pubblici della regione è spesso stata abusata e la fiducia che possa esservi una genuina rappresentanza degli interessi del pubblico nelle strutture di governo della radio-televisione pubblica ne è uscita compromessa.
Le organizzazioni di servizio pubblico non hanno mai imparato a rispettare le persone. Lontane dal basare le proprie attività organizzative e programmatiche sulla responsabilità verso il pubblico e verso i propri dipendenti, hanno spesso adottato pratiche in direzione opposta: ad esempio, tramite l’utilizzo non trasparente dei finanziamenti pubblici, attraverso modalità torbide e clientelari di acquisire palinsesti esterni, e ancora con contratti di pubblicità non trasparenti e condizioni irregolari di assunzione per molti dipendenti.
Che fare?
E’ compito dello stato assicurare l’autonomia istituzionale del servizio pubblico, attraverso la loro struttura legale, soprattutto in termini di finanziamento e forme di governo. La radio-televisione pubblica è l’ultimo spiraglio di comunicazione di massa lasciato al settore pubblico. La privatizzazione di questo spazio da qualsiasi interesse di parte (che sia politico, economico o radicato negli interessi di alcuni segmenti specifici della società civile) è inaccettabile.
Un sistema di informazione basato su valori di integrità dei media dovrebbe rendere il servizio pubblico un pilastro fondamentale del sistema stesso. Dovrebbe sostenere attività indipendenti, stabili e trasparenti, rendendolo il miglior datore di lavoro dei migliori giornalisti, programmatori e tecnici che producono contenuti con una vera utilità per il pubblico. Dovrebbe integrare produzioni indipendenti e divenire una piattaforma per esprimersi per i professionisti dell’informazione più talentuosi e creativi del paese. Questa visione dipende chiaramente dai modelli di finanziamento e di governo stabiliti per il servizio pubblico, ma anche dall’etica di pubblico servizio di coloro che redigono i programmi, in particolare i redattori e i giornalisti.
Qualsiasi riforma democratica del settore dell’informazione dovrebbe concentrarsi sul costruire modelli di finanziamento e governo che indirizzino la radio-televisione pubblica ad essere un servizio per i cittadini, non come individui ma come una comunità di persone interessata a – e responsabile per – uno spazio di comunicazione pubblico basato sull’eguaglianza e il rispetto.
Nonostante sembri che l’attuale sistema mediatico garantisca illimitate opportunità per soddisfare i nostri bisogni di comunicazione, il servizio pubblico è l’unico spazio di comunicazione al quale partecipiamo in quanto comunità. Per questo, le iniziative di riforma dovrebbero coinvolgere anche i cittadini affinché richiedano una ridefinizione del servizio pubblico.
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Brankica Petković è ricercatrice e coordinatrice del progetto SEE media Observatory presso il Peace Institute di Lubiana.
Le chiamavano “televisioni di stato”, oggi sono invece “emittenti pubbliche”, ma il controllo politico non è mai venuto meno. Favorendo gli interessi di parte su quelli dei cittadini. Un commento
Il servizio pubblico dovrebbe rappresentare il baluardo della tutela dell’informazione al servizio del cittadino. La situazione attuale delle emittenti di servizio pubblico del sud-est Europa mostra però tutti i principali problemi del settore dei media nella regione. La stretta esercitata dagli interessi politici di parte su queste istituzioni è così forte che il loro funzionamento, al momento, è un barometro per cogliere il livello di libertà dei media nella regione. Nonostante la maggior parte dei paesi dell’area abbiano riformato le proprie leggi per assicurare una maggiore indipendenza alla radio-televisione pubblica, l’applicazione di queste ultime si è rivelata impossibile, per via delle pressioni politiche orientate a prevenire l’attuazione dell’interesse pubblico.
Da quando è nata nel 2012, la partnership regionale di organizzazioni della società civile “South East European Media Observatory”, ha promosso una serie di valori sintetizzandoli nel concetto di “integrità dei media” (media integrity).
Le riforme nel settore dell’informazione – compito urgente per tutti i governi democratici della regione – devono essere orientate a rafforzare il ruolo di “servizio pubblico” dei media e del giornalismo, riaffermando l’integrità degli organi di informazione. E devono rendere le emittenti pubbliche dei modelli per tutto il settore nell’ambito della regolamentazione, del finanziamento e degli standard professionali.
Una questione di finanziamento
Quelle che in passato erano le “televisioni di stato”, pur trasformate formalmente in emittenti di servizio pubblico, sono ben presto passate sotto il controllo delle élite politiche. Questo ha dato vita a una specifica forma di controllo dei partiti su questi media, dove le posizioni di potere, manageriali ed editoriali sono riservate a dipendenti leali ai potenti. In Bosnia Erzegovina la comunità internazionale ha lanciato diverse iniziative, addirittura dal 2000, per avviare una nuova regolamentazione all’emittente di servizio pubblico, cosa che non è mai accaduta. A peggiorare le cose, nel 2016 la crisi economica sommatasi all’ostruzionismo politico ha quasi costretto BHRT – l’emittente pubblica del paese – a interrompere le trasmissioni.
Alcuni paesi stanno optando per un finanziamento diretto dal bilancio statale del servizio pubblico. Questo va a scapito della raccolta sistematica ed efficiente del canone di licenza: riducendo il legame diretto fra il pubblico e le emittenti e al contempo rafforzando quello fra queste ultime e lo stato. Da un lato, queste tendenze sono alimentate dalle promesse elettorali di alcuni partiti politici, ma dall’altro sono accelerate dall’incapacità dei media stessi di spiegare al pubblico l’importanza di tale servizio e da una realtà sempre più frammentata e commercializzata del settore dei media.
I servizi pubblici di informazione della regione sono organizzazioni grandi e con bilanci sostanziosi, in particolare se si confrontano con gli altri media di questi paesi. Tra i nove paesi esaminati in una ricerca condotta dal SEE Media Observatory alla fine del 2016, il servizio di informazione pubblica ungherese aveva il budget più elevato, 290.220.000 euro, seguito dalla Croazia (182.860.000 euro) e dalla Slovenia (126.950.000 euro). Le emittenti pubbliche in Albania (16.470.000 euro) e Montenegro (12.570.000 euro) si sono rivelate quelle dai budget più ridotti. Questi dati si riferiscono al 2014 e sono pubblicati dall’EBU (European Broadcasting Union), sulla base delle informazioni fornite dai membri dell’organizzazione. Da considerare che anche le emittenti pubbliche del sud-est Europa con maggiori risorse hanno a disposizione budget nettamente inferiori alla media delle emittenti che fanno parte di EBU.
In sei dei paesi coinvolti nel sondaggio, il canone per il servizio di informazione pubblica è raccolto direttamente dai contribuenti (Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Macedonia, Serbia e Slovenia), mentre in Ungheria, Kosovo e Montenegro non si riscuote alcun canone. L’Albania ha il canone mensile più basso, con circa 70 centesimi di euro al mese, mentre la Slovenia ha stabilito il più alto a 12.75 euro, seguita dalla Croazia con circa 11 euro, dalla Bosnia Erzegovina (3.8 euro), dalla Macedonia (3 euro) e dalla Serbia (1.2 euro).
In tutti i paesi del Sud-Est europeo sono permessi trasferimenti diretti di fondi statali al servizio pubblico. In Ungheria, Kosovo e Montenegro, al contrario di altri paesi, i fondi pubblici costituiscono la principale e di gran lunga maggiore entrata per le emittenti pubbliche nazionali.
I finanziamenti provenienti dalla pubblicità sono una fonte di reddito autorizzata per le emittenti pubbliche in tutti i paesi inclusi nel sondaggio. In termini assoluti, con importi tra i 12 e i 17 milioni di euro all’anno, le emittenti pubbliche in Slovenia, Croazia e Ungheria incamerano le somme maggiori provenienti dalla pubblicità tra i paesi del sondaggio, mentre in Albania e Macedonia le entrate pubblicitarie delle emittenti pubbliche sono inferiori a 500.000 euro.
I dati a disposizione suggeriscono che in Bosnia Erzegovina, Ungheria, Kosovo e Montenegro le aziende statali o pubbliche distribuiscano commesse pubblicitarie in modo non trasparente.
Una questione di governance
La dimensione degli organismi di governo della radio-televisione pubblica nella regione è molto differenziata, ma non offre alcuna particolare garanzia di qualità ed efficienza nel loro lavoro. Mettendo a confronto gli organismi di governo della Slovenia con quelli della Bosnia Erzegovina, RTV Slovenia ha 40 “direttori” in totale, mentre la Bosnia Erzegovina ha un organo di governo dieci volte più piccolo, composto da un board di 4 membri nell’emittente nazionale BHRT.
I parlamenti hanno un ruolo dominante nelle procedure di nomina degli organi di governo della radio-televisione pubblica in tutti i paesi del sud-est Europa, ad eccezione della Serbia dove la nomina è fatta dal Consiglio dell’Autorità di Regolamentazione dei Mezzi di Comunicazione Elettronici (REM). La composizione degli organi sociali nominati in parlamento riflette il profilo e gli interessi della maggioranza politica. Pertanto, la riforma del servizio pubblico e le modalità di nomina sono tra gli ambiti sui quali è necessario intervenire con urgenza tenendo conto della necessità urgente di “de-politicizzare” il servizio pubblico e la sua gestione. Iniziative in questo senso sono in corso in Macedonia e Montenegro.
Non sono solo gli evidenti interessi politici, che considerano il servizio pubblico della regione il proprio parco giochi, ad aver indebolito il ruolo di queste emittenti, ma anche interessi privati e particolari, di esponenti della società civile e di organizzazioni o settori che rappresentano. Il loro diritto alla rappresentanza nelle strutture di governo dei servizi pubblici della regione è spesso stata abusata e la fiducia che possa esservi una genuina rappresentanza degli interessi del pubblico nelle strutture di governo della radio-televisione pubblica ne è uscita compromessa.
Le organizzazioni di servizio pubblico non hanno mai imparato a rispettare le persone. Lontane dal basare le proprie attività organizzative e programmatiche sulla responsabilità verso il pubblico e verso i propri dipendenti, hanno spesso adottato pratiche in direzione opposta: ad esempio, tramite l’utilizzo non trasparente dei finanziamenti pubblici, attraverso modalità torbide e clientelari di acquisire palinsesti esterni, e ancora con contratti di pubblicità non trasparenti e condizioni irregolari di assunzione per molti dipendenti.
Che fare?
E’ compito dello stato assicurare l’autonomia istituzionale del servizio pubblico, attraverso la loro struttura legale, soprattutto in termini di finanziamento e forme di governo. La radio-televisione pubblica è l’ultimo spiraglio di comunicazione di massa lasciato al settore pubblico. La privatizzazione di questo spazio da qualsiasi interesse di parte (che sia politico, economico o radicato negli interessi di alcuni segmenti specifici della società civile) è inaccettabile.
Un sistema di informazione basato su valori di integrità dei media dovrebbe rendere il servizio pubblico un pilastro fondamentale del sistema stesso. Dovrebbe sostenere attività indipendenti, stabili e trasparenti, rendendolo il miglior datore di lavoro dei migliori giornalisti, programmatori e tecnici che producono contenuti con una vera utilità per il pubblico. Dovrebbe integrare produzioni indipendenti e divenire una piattaforma per esprimersi per i professionisti dell’informazione più talentuosi e creativi del paese. Questa visione dipende chiaramente dai modelli di finanziamento e di governo stabiliti per il servizio pubblico, ma anche dall’etica di pubblico servizio di coloro che redigono i programmi, in particolare i redattori e i giornalisti.
Qualsiasi riforma democratica del settore dell’informazione dovrebbe concentrarsi sul costruire modelli di finanziamento e governo che indirizzino la radio-televisione pubblica ad essere un servizio per i cittadini, non come individui ma come una comunità di persone interessata a – e responsabile per – uno spazio di comunicazione pubblico basato sull’eguaglianza e il rispetto.
Nonostante sembri che l’attuale sistema mediatico garantisca illimitate opportunità per soddisfare i nostri bisogni di comunicazione, il servizio pubblico è l’unico spazio di comunicazione al quale partecipiamo in quanto comunità. Per questo, le iniziative di riforma dovrebbero coinvolgere anche i cittadini affinché richiedano una ridefinizione del servizio pubblico.
Leggi l’articolo sul sito dell’Osservatorio Balcani e Caucaso
Brankica Petković è ricercatrice e coordinatrice del progetto SEE media Observatory presso il Peace Institute di Lubiana.
Sandra B. Hrvatin è docente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Università del Litorale, dove dirige il Dipartimento di Scienze della Comunicazione. Ha fatto parte del consiglio consultivo del progetto SEE Media Observatory.