(24/11/2014) Il linguaggio dei politici analizzato da docenti, studiosi e giornalisti, in un convegno che si è svolto a Napoli presso la basilica di San Giovanni Maggiore, organizzato dall’ASLI, Associazione per la storia della lingua italiana.
Quello che segue è un articolo pubblicato sul sito napoli.repubblica.it a firma di Anna Laura De Rosa, dove viene intervistata la curatrice del convegno Rita Librandi, docente di Linguistica dell’Università degli studi di Napoli L’Orientale e presidente dell’Asli.
Da “ribaltone” a “papi”, così parlano i politici.
L’Associazione per la storia della lingua italiana (Asli) analizza con docenti, studiosi e giornalisti, l’italiano della politica
Da “ribaltone” a “lodo”, da “papi” a “vaffa” a “rottamare”. Come parlano i politici? E cosa nasconde il registro che scelgono? L’Associazione per la storia della lingua italiana (Asli) analizza con docenti, studiosi e giornalisti, l’italiano della politica nella basilica di San Giovanni Maggiore al centro storico, dove è in corso (da oggi al 22 novembre) un convegno sul tema curato da Rita Librandi, docente di Linguistica dell’Università degli studi di Napoli L’Orientale e presidente dell’Asli.
Nell’era contemporanea paradossalmente più contenuti si esprimono maggiore è il rischio di risultare inefficaci. Vince il linguaggio da social network, con la frantumazione della sintassi e il predominio delle frasi a effetto. La lingua “non è solo uno strumento neutro – spiega la Librandi – ma ha la forza di costruire la nostra identità. Il liguaggio politico oggi insegue i media, cerca di conquistare le prime pagine alzando il tiro e con la volgarità. Ciò comporta una riduzione dei contenuti, una crescita degli slogan, la predilizione dei sostantivi a effetto, a danno delle forme verbali come nei social network”. Facciamo degli esempi concreti confrontando il linguaggio di Grillo, Bersani, Renzi e Berlusconi.
Grillo “sceglie il turpiloquio e usa la parolaccia come intercalare aggressivo – continua la presidente dell’Asli – Il suo modo di parlare è vicino a quello della Lega Nord e nasconde un vuoto di ragionamento, di profondità e riflessione. Non c’è organizzazione di partito nel movimento e chi è il popolo della rete rispetto a tutti gli altri?”. Berlusconi “sceglie il linguaggio dell’ammiccamento come Andreotti ma in una forma triviale e introduce un malcostume diffuso. Tra le strategie del linguaggio del Berlusca, l’uso della barzelletta come rifugio, la ripetizione costante dello stesso concetto e l’uso di slogan”. Bersani “non è un grande comunicatore Non usa un linguaggio complesso, è pacato, esprime contenuti con parole legate spesso al mondo del lavoro ma non è a effetto”.
Renzi “usa un linguaggio social senza turpiloquio, raramente aggressivo. Siamo sul genere boyscout, in grado di attirare simpatia. Nei momenti di distensione mostra una capacità di riflessione”. La differenza tral’italiano di Berlinguer e quello di un leader contemporaneo? “Berlinguer dava un nome non banale alle sue proposte politiche, elaborate dopo una riflessione e un confronto con il partito. Oggi incide di più la velocità, si cerca il consenso immediato con parole shock anche se non è chiaro quanto profondo sia questo consenso nel tempo”. Il rischio di un liguaggio appiattito sull’uso social “comporta un restringimento del vocabolario – conclude la Librandi -, l’uso di una sintassi non più gerarchicamente costruita, un’estrema vicinanza al parlato che rende difficile la scrittura. Oggi la lingua è un’emergenza, per questo stiamo intensificando e promuovendo laboratori di scrittura.
I social network sono un buon mezzo di comunicazione, occorre però saperli usare”. Un quadro di come la lingua si è trasformato sulla bocca dei leader è stato delineato dal giornalista di “Repubblica” Francesco Merlo, presente al convegno. Passando dalla politica del “vaffa” di Grillo al pastiche linguistico berlusconiano, Merlo ha
ricordato come la forza di un leader venga provata dall’attribuzione di soprannomi. “Il dileggio della denominazione segna la dominazione – ha detto il giornalista – E gli appellativi di Renzi confermano la regola: da Berluschino a ebbetino, a cinghialino a Renzie”. E sull’uso poltitico della lingua come manganello: “Renzi usa una parola terribile – ha concluso Merlo – La parola “rottamare” è terribile perche contiene la bellezza delle parole rotta e mare”.
L’articolo sul sito di napoli.repubblica.it