Fuori l’italiano dalle università?

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copertina crusca(28/03/2013) In seguito all’annuncio fatto dal rettore del Politecnico di Milano Azzone di voler avviare dal 2013 – 2014 dei corsi magistrali e dottorali  per ingegneri ed architetti solo in lingua inglese, si è aperto  un dibattito vivace. Si può abbandonare la propria lingua madre del tutto nella formazione universitaria? Diverse sono state le reazioni e l’Accademia della Crusca ha cercato di costruire un momento di dialogo e confronto sul tema  che coinvolge diversi ambiti di studio.

Si può abbandonare del tutto la propria lingua madre nella formazione universitaria?

Rinunciare ad alcune delle funzioni più significative  di una lingua madre, come quella dell’alta formazione e della ricerca, sarebbe un grave errore. Hanno insistito su questo punto  non solo molti autori che hanno collaborato al nostro libro, ma anche molti di quelli che sono intervenuti nel Forum aperto dall’Accademia (www.accademiadellacrusca.it) e la maggior parte di coloro che hanno partecipato agli incontri dedicati a questo tema. Abolendo l’italiano dall’Università si comprometterebbe pericolosamente la formazione della futura classe dirigente del nostro Paese, a vantaggio di una malintesa internazionalizzazione, che passa per la rinuncia alla propria lingua e alla propria identità culturale.

Molti interventi lamentano al contempo una insufficiente padronanza della lingua italiana. Come spiega tale situazione?

Sappiamo che nel corso dei 150 anni dall’Unità è avvenuta nel nostro Paese una grande e  positiva  rivoluzione linguistica, perché l’italiano è passato da essere lingua di una minoranza a lingua di tutti. Ma il risultato complessivo non appare affatto omogeneo, anzi le diseguaglianze linguistiche tra i cittadini italiani sono molto forti. Quello che manca è,  innanzi tutto, la consapevolezza diffusa del valore della lingua e dell’importanza di padroneggiarla bene. La scuola, i mezzi di comunicazione di massa potrebbero fare molto di più in questa direzione. L’Accademia della Crusca è fortemente impegnata su questo fronte attraverso attività diverse: di ricerca, formazione e alta divulgazione. Mi piace segnalare qui un prossimo convegno: Città d’Italia. Ruolo e funzioni dei centri urbani nel processo postunitario di italianizzazione (Accademia della Crusca, 18-19 aprile) dedicato ai 50 anni della Storia linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro, in cui questi temi saranno affrontati da diverse prospettive.

Perché risulta così difficile affiancare lo studio della lingua inglese all’ italiano? Come mai in Italia è ancora  poco praticabile la soluzione del doppio canale?

La conoscenza delle lingue straniere e anche dell’inglese è drammaticamente bassa in Italia. Le cifre più ottimistiche parlano di poco più del 30% della popolazione in grado di conversare in una lingua diversa dalla propria. La scuola per diversi motivi non è stata finora in grado di portare gli studenti a una padronanza medio-alta di altre lingue e neppure dell’inglese, che pure  è riconosciuta  come la superlingua internazionale della comunicazione, soprattutto in ambito scientifico. A prescindere dalla possibilità di scegliere di frequentare corsi universitari in inglese, gli studenti dovrebbero sempre essere  in grado di leggere la bibliografia in inglese (e in altre lingue) e di scrivere e discutere relazioni eventualmente anche in inglese. Questo oggi non avviene o avviene difficilmente.

Lingua e cultura costituiscono un binomio indissolubile e l’attrazione che la lingua e la cultura italiana esercitano in tutto il mondo è ancora molto forte. Quale ruolo possono svolgere i media per la loro promozione e diffusione?

Un ruolo molto importante. Sappiamo che l’italiano è una lingua amata nel mondo e la richiesta di conoscerla non è affatto in calo, anzi. Manca tuttavia una politica nazionale di sostegno della nostra lingua e della nostra cultura. I media hanno certo  svolto un ruolo determinante, ad esempio, nel Mediterraneo nel diffondere la conoscenza della nostra lingua. Sono molto legata alla Comunità radiotelevisiva italofona con la quale l’Accademia ha spesso collaborato in diverse iniziative  (in particolare nella Piazza delle lingue) e so quanto ha fatto e sta facendo. Credo tuttavia che sarebbe importante anche in questo campo un’attenzione maggiore da parte dei media ai cambiamenti linguistici in atto, che sono lo specchio di cambiamenti socioculturali di grande portata. In particolare la RAI, in quanto servizio pubblico, attraverso programmi specifici, potrebbero fare di più nel diffondere quella consapevolezza linguistica di cui parlavo prima. I rapporti tra la RAI e l’Accademia della Crusca sono purtroppo rari e saltuari.

La lingua italiana  è destinata a soccombere di fronte allo strapotere dell’inglese quale lingua universale?

Non esiste una lingua universale. Monolinguismo significa monoculturalismo. Le nostre società complesse, caratterizzate dal fenomeno migratorio e dal dialogo sempre più frequente tra  lingue e culture diverse, richiedono alle persone di conoscere bene la propria lingua e almeno due lingue straniere e agli Stati di favorire il più possibile il multilinguismo, che è un valore in sé,  in quanto incontro di modi diversi di vedere e interpretare la realtà.  Occorrono idee, iniziative concrete e risorse. L’Unione europea,  in particolare, sostiene da sempre che tutte le lingue dell’Unione sono patrimonio comune dei cittadini europei e basa la sua stessa esistenza sul fondamento dell’unità nella diversità. Ma è necessario mettere in atto tali principi attraverso un’adeguata politica linguistica sia europea che  nazionale. Ne dipende il futuro della nostra come delle altre lingue. L’italiano ha avuto un ruolo decisivo nella formazione di un comune sostrato linguistico europeo e ancora oggi è fonte di neologismi per  tutte le lingue del mondo.

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