Rifondiamo il Genius Loci italiano

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(10/10/2014) Rilanciamo la riflessione di Giuseppe Minoia, presidente di  Eurisko uscita sulla rivista “Cinque minuti con Eurisko” in occasione del lancio della ricerca “The Italian Way – I valori distintivi degli italiani e de Made in Italy”.

L’Italia respira grazie all’export, al made in Italy, alla capacità di fare, produrre creare, connettere, dettagliare e rifinire con maestria. Siamo abili (ma non allarghiamoci, smettiamola di definirci geni) e su alcuni versanti molto competitivi se non imbattibili.

Una abilità che viene da lontano, dagli scalpellini dell’Impero Romano, dagli ebanisti del Rinascimento, dai tessitori del Barocco, tutti capaci di suscitare desideri di possesso nelle più ricche corti d’Europa. Basta un giro nelle capitali per scoprire il meglio storico del Made in Italy. Quindi viviamo nel migliore dei Paesi, dove insieme al sì suona l’eccellenza del fare? Alt! I dati di ricerca conducono al principio di realtà mentre sarebbe piacevole rimanere attaccati allo stivale come a un biberon di lattemiele. Il fare italiano è luci con parecchie ombre: è straordinaria qualità del cibo, bellezza del territorio, arte diffusa; ma anche scomodità e disservizi, scarso rispetto dell’ambiente,rischi e paure per le persone, debole capacità di accogliere. Inoltre, e siamo al punto più debole, il Made in Italy non è ritenuto capace di valorizzarsi, di comunicare i suoi meravigliosi caratteri unici.

In sostanza, siamo innovativi e in grado di inventare prodotti e esperienze inediti, ma scarsamente abili nel comunicarli,  nel valorizzare e nel portare i prodotti e le esperienze ai mercati. Le cause. Una fra molte: il deplorevole eccesso di sfiducia in noi stessi. Riteniamoche la nostra cultura sia sublime arte di arrangiarsi, ci consideriamo maestri nell’approssimazione e nel compromesso, negando fiducia in noi stessi. Volendo evitare la psicopatologia del Made in Italy, può bastare l’esempio dell’Italian Wine e dell’Italian Food, troppospesso presentati come doni di natura, invece di risultati di un lungo processo produttivo con radici territoriali precise, ma da cui si parte per sperimentare innovazioni di particolare rilevanza creativa. Manca dunque la capacità e la determinazione di spiegare e raccontarele pratiche in modo da poterle far percepire come modalità oggettivabili, per eventualmente misurarle negli indici di customer e human satisfaction. Per intenderci, Il Genius Loci non si può misurare, mentre sarebbe auspicabile che potesse tradursi in decostruzionedelle origini e dei percorsi, da quelli materiali a quelli di patrimonio culturale. In una enciclopedia delle produzioni, che diventi mappatura dell’Italian Way of Making. Perché i talk e i Masterchef non bastano, e al limite possono essere pericolosi. Occorrono le mappe, le cartografie, i capitolati quali testimonianza di trasparenza e di unicità, in italiano e nelle tante lingue della torre di Babele. Arrivando, ad esempio, a categorizzare tra beni di produzione, beni di esperienza e beni di reputazione e credenza.

Il Genius Loci è un mistero meraviglioso, ma occorre trovare la capacità e il coraggio di penetrarlo e svelarlo, rendendolo decodificabile per i contemporanei, italiani, ma anche e soprattutto per chi italiano non è. Diventa importante chiarire che cosa stia dentro la qualità, il gusto, e le simbologiedel Made in Italy, nei prodotti e nelle esperienze. Ma esiste un altro punto cruciale sul quale occorre riflettere. Il Genius Loci non è una entità storicamente determinatae immutabile. E’ un carattere che evolve, si adegua, intercettando i nuovidesideri e bisogni nel cambiamento socioculturale. Quello del Rinascimento è ovviamente molto diverso da quello delboom economico anni Sessanta. Attenzione, questa entità è, e non può che essere, contemporanea. Occorre saper far evolvere e adeguare le pratiche, non tradendo le radici in modo da renderle interpreti del nuovo.

Possiamo ipotizzare che molte critiche al Made in Italy (incapacità di raccontare iprodotti e le esperienze) originino dalla scarsa sensibilità al contemporaneo. Che deve intendersi come pratiche di un Italian Way of Living, Shopping, Eating, Entertainment. Non dimenticando che il Made in Italy è anche fatto di esperienze ( pensiamo ai viaggi, alle città d’arte, al mare e ai monti, a tutto l’incoming dall’estero) da spiegare e sollecitare come eventi inediti, non come luoghi in cui è confortevole tornare come fossero comode pantofole. Considerando le esperienze come eventi che rifiutano il già visto e il già vissuto e che se appena fanno intravedere il “repeat” favoriscono la fuga. In particolare fanno fuggire i trendsetter, segmento golden share per il Made in Italy.

Quindi? Come mettere a fuoco tutto questo? Possiamo spudoratamente rispondere: con le ricerche. Anche. Ma in una politica delle culture e delle pratiche censite e valorizzate nel nuovo approccio. Occorre una nuova entità in grado di collegare e consegnare queste pratiche ai desideri e bisogni di “secondo tipo”, trasversalmente presenti nel pubblico alla ricerca del bello e del buono, in tutti i continenti, anche in Africa.

L’Italia che respira grazie all’export, potrebbe tornare a correre a pieni polmoni con un Made in Italy di secondo livello, dal territorio alle esperienze che si rinnovano evitando il rischio della ripetizione. In grado di promettere e portare qualità del vivere nel mondo.

Giuseppe Minoia

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