Vivere in italiano: formazione, cultura, lavoro

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(17/06/2013) Vivere in italiano, lavorare, scrivere e studiare in Italia. Questi gli argomenti del primo numero 2013 di madrelingua.

Per presentare i contenuti di questo numero della rivista pubblichiamo una nota firmata da Massimo Arcangeli e Valeria Noli:

“L’italiano, secondo alcuni, potrebbe non sopravvivere all’anno 2300; e già nel 2050 la nostra lingua potrebbe dimezzare i propri vocaboli, riducendo drammaticamente il suo storico patrimonio lessicale. Se però da un lato l’inglese veicolare globale sembra minacciare la lingua nazionale, dall’altro sono sempre più numerosi gli stranieri che scelgono di scrivere in italiano. Il nostro idioma, dunque, è anche terreno di incontro e di dialogo, potenziale scenario per una integrazione culturale che si fa forte di una plurisecolare, formidabile tradizione.

Quali sono le ragioni per cui tanti scrittori stranieri decidono di scrivere i loro romanzi e i loro racconti in italiano? Amara Lakhous, Igiaba Scego, Ornela Vorpsi sono alcuni fra gli esponenti più noti di un “movimento” che, ancora negli anni Novanta, era una realtà di nicchia. Oggi non è più così. Chi decide di esprimere nella nostra lingua le proprie speranze, o i propri pensieri, o le proprie aspirazioni, sfida la profezia di una futura catastrofe, di un’ineluttabile estinzione, e si pone una domanda: come sarà l’italiano del futuro? cosa ci riserva?

Dalla prima pagina dell’ultimo numero di “madrelingua” quattro scrittori, fra i tanti che hanno “adottato” l’italiano, ci raccontano dei loro sguardi meticciati e molteplici, del loro caleidoscopio di esperienze (Kuruvilla), dell’importanza della “differenza” comportata dai nuovi linguaggi letterari (Lilin). Per Komla-Ebri si tratta di «aprire una finestra su usi e costumi non italiani e portare un vento nuovo»; tanto nuovo che – come già detto – ancora negli anni Novanta soffiava timidamente.

Una letteratura della migrazione, quella italiana, diversa dalle analoghe prodotte dai paesi con un passato coloniale: è ben alimentata anche dall’interno, naturalmente, ma non dimentica di assorbire continuamente l’altro: parole, per es., provenienti anche da molto lontano e che da noi hanno trovato un luogo in cui stare, si sono finalmente accasate.

   In prima pagina quattro autori propongono il loro punto di vista. Secondo Gabriella Kuruvilla lo «sguardo del migrante è (…) molteplice: un vero e proprio caleidoscopio» che, per Nicolai Lilin, è capace di «proporre una comprensione differente del mondo» attraverso il linguaggio letterario. Kossi Komla-Ebri sostiene a sua volta che il «ruolo degli scrittori migranti è aprire una finestra su usi e costumi non italiani e portare un vento nuovo». Karim Metref ricorda infine che « Gli scrittori migranti sono espressione di un fenomeno relativamente giovane», negli anni Novanta ancora di nicchia.

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