Dal micro-blogging al linguaggio quotidiano dei giovani: la lingua italiana si sta impoverendo? In realtà, questo pessimismo linguistico è perlopiù infondato, ma serve un modello di alfabetizzazione digitale condiviso e che guardi al futuro.
L’inarrestabile avanzamento della tecnologia e le sempre più frequenti politiche di digitalizzazione mirate a promuovere l’innovazione e ad abbattere le barriere che, ancora oggi, limitano l’accesso alla cultura hanno comportato un concreto stravolgimento nel modo di concepire e definire la realtà.
La possibilità un tempo inimmaginabile di interagire e condividere contenuti in tempo reale con un pubblico potenzialmente illimitato, senza vincoli “geografici” o culturali, ha favorito il proliferare di nuove forme di comunicazione “rapida” e “multimodale” (social network, app, servizi di messaggistica istantanea), pensate per stimolare e promuovere l’omofilia, ovvero il contatto tra persone simili che condividono gli stessi interessi.
Tra queste, una delle più interessanti è, senza dubbio, la tecnica del “micro-blogging”, una forma di comunicazione nata nel 2006 su Twitter che prevede la pubblicazione continua e aggiornata di piccoli contenuti (frasi, video, gif, immagini) entro un limite perentorio di 140 caratteri.
Questa tipologia di scrittura, necessariamente “rapida” e concisa, si presenta con caratteristiche del tutto peculiari, configurandosi come una forma comunicativa estremamente vicina all’interazione orale e dotata di una vera e propria “grammatica”, in larga parte indipendente dai precetti linguistici tradizionali.
Per avere una stima reale della portata di questo fenomeno, basta “affacciarsi” su un qualsiasi profilo Twitter e notare con quanta frequenza e regolarità gli utenti facciano uso di abbreviazioni, acronimi e anglicismi, spesso “infarcendo” i propri messaggi di faccine, hashtag, frasi fatte e meme, allo scopo di risparmiare spazio ed ottenere, in ogni caso, il massimo rendimento comunicativo.