Gli italiani e l’italiano: intervista a Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca

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51603051_francesco20sabatiniVi proponiamo integralmente un’intervista pubblicata su “Il Vaglio“, rivista online, firmata da Rossella Votino.

Il professore si sofferma su temi legati alla didattica e all’insegnamento.

Linguista, filologo e lessicografo italiano, Francesco Sabatini, presidente dal 2000 al 2008 dell’Accademia della Crusca (lo storico istituto di studio e salvaguardia della lingua italiana), professore emerito dell’Università degli Studi Roma Tre, è molto conosciuto anche fuori dall’ambiente culturale, dal cosiddetto grande pubblico televisivo, per le sue partecipazioni alla trasmissione mattutina “Pronto soccorso linguistico”, la domenica mattina, nell’ambito del programma Unomattina in famiglia di Rai Uno. L’abbiamo incontrato per un breve colloquio, quando oramai la completa alfabetizzazione pare un processo compiuto: ma possiamo davvero esser sicuri che sia così? Che gli italiani conoscano la propria lingua?

Professor Sabatini, qual è lo ‘stato di salute’ della lingua italiana ?
Dobbiamo studiarla molto meglio, l’uso domestico e ambientale della stessa è molto ridotto nella attuale società complessa che ha bisogno di un’alta capacità di uso della lingua scritta, di lettura e di produzione scritta. I mezzi tecnologici possono aiutare ma non sostituire lo sforzo personale e manuale, proprio perché le società complesse, così vengono chiamate, aumentano rapidamente le esigenze di uso della lingua riflessa, ricca, attrezzata, articolata in usi particolari; tutta la storia dell’uomo è una storia di maggiore e più ricco uso del linguaggio verbale.

C’è un problema di didattica dell’italiano?
Certo, la sede in cui si passa dall’uso orale, spontaneo, ambientale all’uso anche orale ma più complesso o scritto è la scuola ed è vitale nel mondo di oggi.

Cosa non va nell’insegnamento dell’italiano a scuola?
La imprecisa preparazione degli insegnanti di italiano nel campo delle scienze del linguaggio. E’ un ritardo della cultura italiana del Novecento, ha scoperto tardi queste scienze, ed è difficile oggi farle introdurre nell’insegnamento.

Alcuni studi, nazionali e internazionali, come quello dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), mostrano dei dati che non sono lusinghieri e soprattutto una disparità tra gli istituti tecnici, professionali e i licei e tra il Nord e il Sud Italia, come lo spiega?
Le differenze geografiche sono legate alla realtà storica e sociale delle parti d’Italia, nell’Italia meridionale l’analfabetismo al momento dell’Unità politica raggiungeva il 90-95% quindi si è dovuto fare molto cammino in più. Una scuola non attrezzata specificamente ha risolto il problema parzialmente in queste zone: le differenze sociali sono differenze storiche.
Per quanto riguarda gli istituti tecnici non è così netta la differenza perché in essi c’è potenzialmente un atteggiamento più vivace e dinamico, una maggiore attesa da parte degli studenti e c’è pure una maggiore partecipazione alle discipline più tecniche. L’educazione all’uso della lingua è anche un fatto tecnico, non è un sfera di fenomeni nebulosi, metafisici e quindi anche i licei peccano abbastanza.

Tullio De Mauro ritiene che circa il 70% della popolazione italiana si trovi al di sotto della soglia minima di competenze necessarie per l’uso di una lingua…
Eh sì, siamo più o meno su questo livello e certamente non è accettabile in una società complessa che richiede competenze linguistiche più forti e in progressiva crescita e non in diminuzione. Se un popolo non conosce la propria lingua, quale futuro l’attende?Beh di essere sottoposto a fenomeni di degrado, di dominio, di asservimento perché la lingua non è soltanto conoscere dei testi letterari, è conoscere se stessi, il proprio ambiente, la società per potersi con essa confrontarw con gli altri popoli.

Il link all’intervista sul sito de “Il Vaglio

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